23 Settembre 2024

Decreto CatNat, dalle Imprese alle Case: non solo Clima ma Degrado territoriale, Stato e Assicurazioni rincorrono l’emergenza

di Giuseppe Gaetano, editor in chief

I primi 20 milioni di euro stanziati dal governo per fronteggiare il secondo grave alluvione abbatutosi in Emilia-Romagna in poco più di un anno, sono bruscolini rispetto agli 800 che è costato il primo. E a causarlo, ancora una volta, non è stato un uragano, un ciclone, un evento estremo dovuto al cambiamento climatico ma dei forti temporali, che forse avrebbero messo fuori gioco anche alcune coperture parametriche basate su dati pluviometrici.

Denari peraltro non dovuti dallo Stato, che interviene solo avendo il dovere istituzionale di farsi carico del sistema Paese e delle sue esigenze di continuità produttiva e reddituale; soldi nostri, che è costretto a versare proprio perché manca ancora una partnership col settore finanziario e assicurativo che mutualizzi i rischi associati alle calamità naturali.
L’ennesima rinnovata emergenza ha infiammato nel weekend il dibattito politico accelerando l’emanazione del decreto attuativo sull’obbligo di copertura catastrofale per le imprese, e anticipando la discussione su quello per le case dei cittadini, che presenta ostacoli perfino maggiori. Per Riccardo Barbieri Hermitte, direttore generale del Mef, è “tra le cose che si potrebbero fare con il bilancio europeo“. “Lo Stato – sentenzia invece il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini – può dare consigli, ma non può imporre nulla“. E da quando? In effetti, alle imprese non è stato imposto nulla: in caso di mancata adesione al massimo rinunceranno a qualche agevolazione statale, ammesso e non concesso che avessero intenzione di goderne: l’unica vera imposizione è per le compagnie, e c’è una bella differenza tra l’RC auto e l’assunzione di un rischio globale, di fatto imprevedibile, che in Italia parte da una mutualizzazione di base ridicola.

Del resto la bozza del decreto prevede espressamente che la compagnia consideri la propria capacità assuntiva, in relazione al patrimonio a copertura della solvibilità, e che sia esonerata dall’obbligo a contrarre se si superano determinate soglie di sicurezza: non possiamo far fallire l’intero comparto assicurativo, chiedendogli di spiccare un salto nel buio delle conseguenze di eventi “naturali” fino a un certo punto: praticamente tutti i comuni della penisola sono a rischio idrogeologico (il 95%) e, complessivamente, oltre l’80% degli immobili civili è esposto a un livello di rischio medio-alto per almeno un evento tra quelli contemplati nel testo all’esame.
Per restare alle imprese, ANIA calcola che il patrimonio di beni assicurabile – attenendosi a quanto prescritto dalla norma – ammonterebbe a 4.000 miliardi (2.500 già presenti nel portafoglio delle compagnie e 1.500 derivanti da nuovi potenziali rischi) per una perdita annua attesa per il settore di quasi 2 mld solo per terremoto e alluvione.

Per quanto riguarda le famiglie, Nello Musumeci auspica responsabilità da parte dei contribuenti affinché l’eventuale obbligo non sia vissuto come una “nuova patrimoniale“. Ma se in linea teorica lo Stato non è tenuto a ripagare la casa alle famiglie, così come la ditta agli imprenditori, è tenuto però eccome a manutenere un territorio idrogeologicamente al collasso, a cui ormai basta una pioggia insistente per traboccare fango e allagare strade, piazze, valli e pianure: non si possono certo lasciare in mano alla buona volontà della popolazione la “attuazione di misure di promozione dell’adattamento e della resilienza, l’incentivazione della mitigazione del rischio e il miglioramento della raccolta e della modellazione dei dati” richiamate dal ministro della Protezione civile.
Ovviamente anche i singoli privati possono fare la loro, per “mitigare” soprattutto i premi. Anche perché nel “fac-simile” dell’attuale decreto per le imprese grandine, trombe d’aria e tempeste non rientrano tra i fenomeni indennizzabili e richiederebbero specifiche estensioni aggiuntive al contratto, da pagare a parte, se si vuole essere coperti davvero al 100% contro ogni genere di cataclisma. Per le famiglie, come per le imprese. Gli eventi cosiddetti “secondari” sono infatti aumento e, a causa della suddetta incuria del territorio, provocano perdite maggiori di quelli più gravi.

Creare a proprie spese barriere e reti protettive contro frane e alluvioni costa però carissimo, di sicuro più che sottoscrivere un premio addizionale. E c’è il pericolo che innesti un effetto controproducente: la deresponsabilizzazione delle persone e, ancora peggio, dello stesso esecutivo dal compito di preservare l’ambiente circostante. Tanto c’è l’assicurazione. Segnaliamo tuttavia che la legge prevede che le compagnie non siano tenute a risarcire “danni conseguenza diretta o indiretta dell’azione dell’uomo“: se il disastro – come appare certo – è concausato da cementificazione delle campagne, mancata messa in sicurezza di argini e costoni, errori progettuali di enti locali, errata allocazione di risorse pubbliche eccetera, le compagnie potrebbero essere autorizzate non solo a non sganciare un euro ma neanche ad accollarsi il rischio. Si prevede un gran lavoro a carico di periti e tribunali, in futuro, per dirimere la marea facilmente immaginabile di contestazioni e controversie sugli importi dei risarcimenti.
Almeno le banche tenessero conto di tali polizze nel concedere finanziamenti finalizzati alla salvaguardia di immobili, e invece no: dopo Bankitalia, nelle Note di stabilità finanziaria a marzo, il presidente IVASS Luigi Federico Signorini venerdì scorso – durante l’High level insurance conference – ha ripetuto che tali prodotti, come ogni altra concreta misura di mitigazione adoperata al bene da tutelare, attendono ancora di diventare un fattore essenziale nel definire le condizioni dei prestiti, come lo è già l’efficientamento energetico di stabili e capannoni.

La presidente ANIA Maria Bianca Farina, presente al meeting, ha ricordato che “secondo Swiss Re, il gap CatNat in quattro Paesi del G7 rappresenta il 25-50% delle perdite totali mentre in Italia l’80%“. Già EIOPA aveva decretato che il nostro è, assieme alla Grecia, il Paese UE col divario più alto e il 25esimo tra quelli Ocse per premi nel ramo Danni: appena 1,9% del Pil contro il 4,6% della confinante Francia. In dettaglio, nel 2023 la raccolta per i rischi climatici ha toccato 2,1 mld, il 6% di tutto il Danni. Ne abbiamo di chilometri da macinare per arrivare proprio all’esempio francese, in cui la garanzia CatNat per famiglie e aziende è attiva da oltre 40 anni, inserita automaticamente in tutti i 45 milioni di prodotti Danni attualmente in essere, costando quindi in media appena 25 euro a individuo. Anche in Spagna c’è una garanzia pubblica illimitata, solo per le case, collegata alla polizza base contro gli incendi, non obbligatoria ma molto diffusa.
Qual è il meccanismo vincente in Italia, dove la sostenibilità economica di questo maxi intervento è un grosso problema per tutti, assicurazioni, clienti e Stato? Sono ore convulse nei palazzi dove si decide: l’emendamento di Fratelli d’Italia, che rinviava addirittura di un anno i termini di entrata in vigore, è stato ritirato in fretta e furia e oggi il decreto catastrofali passa all’esame di Confindustria e delle altre associazioni delle imprese. Il dispositivo potrebbe finalmente vedere la luce nei prossimi giorni.

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