di Giuseppe Gaetano, editor in chief
“I lavori per la stesura del decreto di attuazione” dell’obbligatorietà assicurativa per le imprese contro (alcuni) eventi calamitosi “sono in corso e IVASS sta fornendo il proprio contributo tecnico” ha aggiornato ieri il consigliere dell’istituto di vigilanza Riccardo Cesari, in occasione del convegno su “Calamità: nuovi percorsi per la ricostruzione” organizzato a Roma dal Dipartimento Protezione Civile, senza però sbilanciarsi sui tempi di emanazione del testo ma enucleando 3 aspetti chiave per la riuscita della normativa.
Il primo riguarda l’esatta declinazione dei fenomeni naturali coperti dalle polizze, per trasparenza verso i sottoscrittori ma anche “per consentire alle compagnie di attivarsi al meglio per far fronte agli impegni contrattuali (ad esempio, riguardo l’adesione a forme consortili o l’utilizzo di riassicurazione privata e supporto Sace), e all’IVASS di verificarne le condizioni di solvibilità“.
Il secondo concerne il raggiungimento di un sufficiente livello di mutualità, senza il quale “il costo della copertura può risultare elevato proprio nelle aree a un tempo più esposte alle calamità naturali e meno forti dal punto di vista economico“, visto che “le 5 tipologie catastrofali individuate presentano un diverso grado di esposizione sul territorio“.
Infine, “l’assenza di un contratto-base rende difficile la comparazione dei contratti offerti e quindi la competizione” tra player.
Il modello allo studio prevede una “partecipazione di tipo misto, pubblico-privato, già presente in altri Paesi: da un lato le compagnie valutano i rischi, predispongono i contratti e stabiliscono i prezzi delle coperture; dall’altro lo Stato, attraverso Sace, assume il ruolo di riassicuratore di ultima istanza“. La formula verte sulla complementarità delle due soluzioni. In teoria lo Stato non sarebbe tenuto all’intervento, ex post, se non nel ripristino di aree e strutture di sua pertinenza; e comunque riesce a farsi sempre meno carico di una ricostruzione o un contributo spesso “incerto” riguardo tempi e modi, assunto in base a “valutazioni contingenti e secondo criteri assunti di volta in volta sulla base della natura e della diffusione dei danni anziché in modo calibrato sui danni subiti da ciascuna persona o azienda“. Inoltre, la distribuzione dell’onere fiscale non incentiva la mitigazione dei rischi.
Le compagnie, invece, “ripartiscono l’onere in anticipo e, dopo la calamità, chi subisce i danni ha un ristoro” – sicuramente più certo, pronto e commisurato – “a carico di tutti gli assicurati, ovvero da parte di coloro che condividono i medesimi rischi“. Una polizza fatta bene incentiva così all’adozione di precauzioni per contenere le perdite ma “occorre che sia sostenuta da adeguate politiche pubbliche, incluse le forme di obbligatorietà, capaci di minimizzare la selezione avversa e le distorsioni percettive che inducono a sottovalutare i rischi futuri“. La scarsa diffusione di tali prodotti, infatti, non solo rincara i premi “ma neppure garantisce il raggiungimento di minimali obiettivi redistributivi che l’intervento pubblico può invece perseguire“.
Il dispositivo finale, che vede impegnato in primis il Mimit, dovrà risultare contemporaneamente: sostenibile “tanto dal lato dell’offerta quanto in quello della domanda, nel presupposto che una delle leve del successo del progetto sta proprio nella più ampia diffusione della copertura“; ed efficiente “nella sua attuazione operativa“, specie nell’erogazione delle prestazioni. Si tratta quindi di fare sistema tra i diversi attori destinatari del provvedimento, per proteggere l’economia nazionale e soprattutto farla ripartire rapidamente dopo il disastro.
Ma, innanzitutto, sono “importanti gli interventi volti alla mitigazione dei rischi catastrofali“. Anche perché, nonostante il progresso scientifico e tecnologico, “la capacità di prevedere esattamente quando, quanto e dove colpiranno rimane limitata“. Urgono dunque misure prioritarie “per la prevenzione e la preparazione alle calamità, tramite investimenti in infrastrutture resilienti e sistemi di allerta precoce” ha ammonito Cesari proprio nell’incipit della sua relazione, altrimenti non ci sarà decreto “a ridurre i danni e il conseguente impatto finanziario“. Una di queste è rappresentata dalle polizze per i danni provocati all’ambiente, che hanno un gap assicurativo perfino maggiore di quelle per i danni ricevuti.
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