di Giuseppe Gaetano, editor in chief
369 banche al Centro-Nord che danno lavoro a 225mila bancari, contro le 79 del Sud che ne impiegano 38mila: è un rapporto da 6 a 1 quello che spacca l’Italia finanziaria.
Secondo Fisac Cgil anche i residui sportelli bancari ancora aperti, di conseguenza, sono per il 78% al Settentrione. Nell’ultima dozzina di anni il Mezzogiorno – dove metà dei comuni, specie delle aree interne, ne sono privi – ha visto una contrazione dell’organico quasi doppia, in percentuale, rispetto al resto della penisola. La distribuzione per gruppo istituzionale e classe dimensionale vede prevalere nelle regioni meridionali istituti minori, come quelli di credito cooperativo; nessuna presenza di quelli maggiori, mentre le spa sono una minoranza.
Sul fronte della raccolta, i prestiti sono inferiori in rapporto sia al valore aggiunto ai prezzi di mercato che ai depositi. Per colmare il gap servirebbero oltre 110 miliardi di euro di nuovi finanziamenti. Il ricorso al credito, infine, continua ad essere più oneroso al Sud: al primo semestre il Taeg sui mutui immobiliari superava il 4,26 contro il 4,12 del Nord.
Per i colleghi First Cis in realtà il fenomeno è preoccupante anche in Veneto, Trentino e Friuli. Al 30 settembre scorso – elaborando dati Bankitalia, Istat e Eurostat – sull’intero territorio nazionale risultavano complessivamente: 4 milioni e 300mila connazionali (352mila in più nell’ultimo anno) e 250mila imprese senza uno sportello fisico di riferimento; più 6 mln di utenti e 388mila attività che possono contare solo su uno in presenza.
“Se manca un intermediario del credito in certe zone, non si svolge quell’attività di sostegno all’economia e di servizio alle persone che è propria delle banche” ha ricordato di recente Fulvio Furlan, segretario generale Uilca, per il quale c’è “anche un tema di legalità: dove non c’è un soggetto controllato, si rischiano fenomeni come usura e riciclaggio”. Sono gli stessi clienti a richiedere, accanto all’online, una vicinanza concreta: “9 su 10 sostengono che per loro è necessario avere un istituto vicino a dove vivono e sono insoddisfatti”.
Anche quest’altro sindacato, rilevando le difficoltà del Sud, ha scattato una fotografia prospettica di tutto lo Stivale raccogliendo i numeri di 5 anni: al 2022 risultano 20.986 sportelli bancari (-4.423 dal 2018); su 7.901 comuni solo 4.785 ne hanno almeno uno (-583) e impiegano in tutto 264.132 dipendenti (-5%). Va detto però che, sebbene non allo stesso ritmo, in parallelo aumentano consulenti e uffici di finanziarie, confidi e mediatori creditizi, a caccia di promettenti neolaureati e figure junior da formare e inserire nelle reti, per coprire il “buchi” lasciati dai grandi gruppi bancari. Si assiste, inoltre, a una parziale trasformazione del modello di point finanziario su strada.
Anche nelle assicurazioni c’è una frattura geografica nel presidio fisico delle filiali e, quindi, nei cittadini serviti in presenza e nel numero di lavoratori impiegati. Tornando alle cifre Fisac, il 74% dei quasi 46mila dipendenti è collocato nelle aree settentrionali nel rapporto per 100mila abitanti, si passa dai 281 del Friuli Venezia Giulia ai 13 della Basilicata. Nel Mezzogiorno non c’è un dirigente direzionale né un polo specialistico con personale con più elevata qualifica professionale: analizzando il codice Ateco K di attività bancarie e assicurative, la differenza retributiva col Centro-Nord risulta del -8% per gli impiegati, -9,5% per i quadri e -28,3% per i dirigenti.
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