di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Anche i geometri vorrebbero assicurarsi maggiormente, specie da malattie e infortuni, ma desistono per la spesa addizionale che, anche nell’offerta più conveniente, rappresenta comunque un ulteriore piccolo aggravio sul bilancio personale se sommato ai tanti piccoli costi fissi affrontati mensilmente o annualmente da ogni privato – ivi inclusi rimborsi di prestiti o premi di altre polizze – che messi tutti insieme fanno sentire il loro peso nell’unico Paese Ocse con gli stipendi fermi da 30 anni.
Almeno questa è l’interpretazione che ci suggerisce la survey Gruppopiù/Agefis su mille geometri fiscalisti, preoccupati soprattutto da salute (67%), impossibilità di lavorare (50%) e benessere dei familiari (32%). Tra le coperture attualmente attivate: il 95% riguarda l’Rc professionale obbligatoria, il 40% gli infortuni e il 33% la tutela legale. Appena il 3,6% degli intervistati è protetto dal cyber risk mentre, sul fronte degli eventi naturali, più della metà è frenato ancora dai prezzi dei prodotti mentre il 22% dalla sfiducia nelle compagnie. Oltre alla carenza di “cultura” assicurativa e alla cronica sottovalutazione dei rischi – di cui si dibatte ampiamente – il sondaggio mette in luce, a livello generale, un paio di concause banali ma forse poco citate ultimamente nello spiegare lo storico protection gap che contraddistingue l’Italia.
La prima è il potere d’acquisto che non consente di accendere le tante diverse coperture di cui avrebbe bisogno ogni cittadino, artigiano, imprenditore del nostro Paese: auto, casa, famiglia, salute, risparmi, danni catastrofali e informatici… anche se si tratta di poche decine di euro aggiuntive a estensione, “è la somma che fa il totale” come diceva Totò. La seconda concausa, minoritaria ma presente, è la brutta esperienza patita evidentemente da più di un cliente presso più di un operatore – emergente anche dall’ultima studio EY sulla bancassurance -, che finisce per gettare un’ombra di discredito sull’intero settore.
Se è lo Stato a dover “assicurare” i suoi servizi alla popolazione entrando in una partnership sempre più stretta con le assicurazioni, queste sono chiamate a loro volta a battere un colpo soprattutto sul secondo punto: il post vendita. Perché è soprattutto nel momento della liquidazione del sinistro che si vede la differenza tra un player e l’altro, e che genera quindi disillusione e diffidenza.
Al riguardo va sottolineato l’intervento del consigliere Ivass Riccardo Cesari al convegno “Contratti chiari e comprensibili: le linee guida Ania 2024”, organizzato la settimana scorsa a Roma dall’Associazione: un tema, quello della trasparenza delle ‘istruzioni per l’uso’ di prodotti e servizi, che ha molto a che vedere con dubbi, sospetti e perplessità dei privati verso il settore. Per certi versi un linguaggio finanziario tecnico – che non dia adito a differenti interpretazioni e in cui l’intenzione comunicativa del mittente si uniformi alla ricezione del destinatario -, è essenziale proprio per evitare quelle controversie che spesso sono alla base della disistima dei consumatori, tuttavia “la precisione spesso va contro la semplicità e la chiarezza non è sinonimo di correttezza“, nota Cesari.
Le compagnie, in verità, si stanno impegnando nel redigere contratti ‘accessibili’ in ogni senso ma – non potendo semplificare eccessivamente il testo di un contratto, attorno al quale girano per di più dei soldi – la clientela è chiamata a uno sforzo in proprio di alfabetizzazione finanziaria. I programmi scolastici pubblici non ci pensano: l’inserimento dell’educazione finanziaria in quella civica, che si ferma alle medie e non studia nessuno è una ridicola goccia nell’oceano. D’altro canto banche e assicurazioni non possono certo sobbarcarsi da sole la formazione di un’intera popolazione. Quello che certamente possono e devono fare è però spiegare e riassumere con onestà e chiarezza, attraverso il consulente, i termini principali di una polizza rispondendo a ogni perplessità del cliente, prima della sua firma.
Ora, la categoria dei geometri e degli altri professionisti (che devono aver raggiunto almeno un grado di istruzione secondaria superiore per esibire il titolo) non dovrebbe incontrare troppi problemi di comprensione del registro linguistico, ma – a livello di massa – lo stesso Cesari si è chiesto nel suo speech “se questo gap (quello dei diplomati e laureati in rapporto alla popolazione, ndr) non possa contribuire a spiegare l’altro grande gap, quello della ben nota sottoassicurazione dell’Italia rispetto agli altri paesi Ocse“. La domanda è retorica: in parte, ovviamente sì.