di Giuseppe Gaetano, editor in chief
La manovra istituisce una sezione speciale per il finanziamento delle garanzie Sace per coprire – previa convenzione con le assicurazioni – fino al 50% degli indennizzi a cui sono tenute le compagnie in caso di evento catastrofale, per un importo massimo di 5 miliardi l’anno per il triennio al 2026.
Il fondo pubblico per le riassicurazioni attiva di fatto un partenariato pubblico/privato: sarà recuperato dalle dotazioni già assegnate per SupportItalia e dalle “risorse finanziarie versate dalle assicurazioni a titolo di remunerazione della copertura“, “per contribuire alla gestione del portafoglio“. Le compagnie possono assumere il rischio “direttamente, in coassicurazione o in forma consortile” ma lo scoperto non deve superare il 10-15% del valore dei beni assicurati – terreni, fabbricati, macchinari e beni strumentali, materiali, immobili e il loro contenuto – “da danni direttamente cagionati da calamità naturali”. Sono escluse le imprese agricole, già disciplinate dal Fondo mutualistico nazionale, e quelle i cui beni immobili risultano gravati da abuso edilizio o costruiti senza delle autorizzazioni previste, o gravati da abuso sorto successivamente alla data di costruzione. Oltre che con le sanzioni pecuniarie, dell’eventuale inadempimento si terrà conto anche nell’assegnazione di contributi, sovvenzioni o agevolazioni finanziarie a valere sul bilancio dello Stato. Non è finita: anche le assicurazioni che si rifiuteranno di accendere la polizza saranno multate, con ammende identiche alle imprese che non la sottoscriveranno: da 200mila a 1 milione di euro.
Sono i punti chiave delle misure volte a ridurre l’esposizione ai rischi climatici grazie alle polizze catastrofali, rese obbligatorie entro il 31 dicembre 2024 per tutte le imprese incluse quelle assicurative. La manovra del governo con una mano dà e con l’altra toglie al settore: per broker e agenti introduce la ritenuta d’acconto al 23% sulle provvigioni, da cui l’esecutivo attende 583 milioni nel 2024 e 783 a regime dal 2025. Ma – tornando all’assicurazione contro le catastrofi – Confcommercio, Confesercenti, Cna, Confartigianato e Casartigiani lamentano “nuovi pesanti oneri” sostenendo che “le giuste soluzioni sono incentivi, prevenzione e tavoli di confronto”. A onor del vero, una strategia non esclude l’altra. L’obbligo a contrarre in tempi brevi accenderà le lampadine dei vari player, chiamati a escogitare servizi e soluzioni sostenibili per capitali, portafoglio, capacità di presa in carico di sinistri climatici. Bisognerà valutare l’impatto dell’assunzione di tali rischi sugli indici patrimoniali e di solvibilità a bilancio, e sfornare nuovi prodotti.
Al testo attuale, al vaglio del Parlamento, dovranno seguire subito circolari e decreti attuativi per disciplinare – come nella Rc auto – un pricing altrettanto diversificato e chiarire molteplici aspetti, a cominciare da quali fenomeni rientrino esattamente nella definizione “calamità naturali”. Inoltre, il risarcimento contempla anche l’eventuale interruzione d’attività? L’obbligo di copertura riguarda terreni, impianti, macchinari e attrezzature in leasing o a nolo? Di sicuro, sarà un anno ricco di novità in quest’ambito. La questione è stata centrale al Reinsurance Day 2023 di EMFgroup a Milano, volto a facilitare gli accordi per il rinnovo dei trattati di riassicurazione. Il mercato italiano è frammentato e la dimensione aziendale è direttamente proporzionale al livello di copertura: attualmente è assicurato il 55% delle piccole, il 67% delle medie e il 78% delle grandi imprese con oltre 250 dipendenti. Una discreta fetta di business, ma il segmento da aggredire è quello delle microimprese a conduzione individuale o familiare, per cui pure vale il provvedimento a prescindere dal settore merceologico.
Il bacino è ingente: su 4 milioni e mezzo di società, il 95% ha meno di 10 lavoratori e il livello di copertura è lo stesso delle case private, il 5%. E qui si apre il vero problema. Se le aziende appaiono già sufficientemente protette (sebbene non da tutte le numerose “estensioni” contrattuali che annoverano grandine, trombe d’aria, nubifragi e mareggiate fino alla siccità), il residenziale è alla completa mercé degli eventi atmosferici violenti e la tutela del bene – che lo Stato dovrebbe sicuramente incentivare, specie se la rendesse parimenti obbligatoria – resta sempre in capo ai proprietari. Come tutto il resto: lo Stato non ha rimborsato, ad esempio, le decine di migliaia di auto rottamate dopo il disastro in Emilia Romagna, prive di polizze contro l’alluvione. Come mai – nonostante oltre l’80% di abitazioni civili, circa 35 milioni, sia esposto a livello medio/alto a catastrofi naturali e dissesto idrogeologico (e il 40% ubicato addirittura in zone sismiche) – pochissime sono assicurate contro le calamità naturali mentre contro l’incendio raggiungono il 44%? Perché è obbligatorio per chiunque accenda un mutuo, certo.
La maggior parte sono infatti condomìni, dove il rischio è più frequente e concentrato a causa del numero di appartamenti; ma al contempo è proprio la presenza di più unità che consente di distribuire il costo, contribuendo a innalzare la percentuale. È, in scala, quello che dovrebbe accadere in comuni, province, regioni. Raggiungendo una massa critica, lo spalma-rischio consentirebbe di calmierare il tariffario e coprire così anche realtà con difficoltà di liquidi o con immobili e strutture in zone oggi inassicurabili. Una simulazione Ivass dimostra che l’estensione a tutte le abitazioni della protezione per terremoti e alluvioni consentirebbe di risarcire tutti i danni, pagando un premio medio di puro rischio fino a 130 euro l’anno per una casa realizzata con standard tradizionali e meno resistenti: cifra che si ridurrebbe del 40% introducendo una franchigia del 6%, e del 30% con una ristrutturazione o per una nuova costruzione secondo i moderni standard. L’incidenza sul costo finale varia ovviamente secondo geolocalizzazione e stato dell’immobile.
Anche la stipula delle coperture accessorie per ogni altro evento catastrofale, in proporzione, abbasserebbe l’importo finale rispetto all’attivazione delle singole garanzie aggiuntive sommate insieme. I vari tentativi politici, intentati da una decina d’anni per imboccare la via dell’obbligatorietà, sono però tutti falliti. La detrazione del 19% dalle tasse non basta eppure l’abitazione per la famiglia, come lo stabilimento per l’imprenditore, è il bene più prezioso e la mutualizzazione del rischio, è noto, ridurrebbe di molto i singoli premi minimizzando ex ante costi pubblici e privati. Nel nostro Paese – primo in Europa per gap assicurativo, dopo la Grecia – l’emergenza clima è diventata ormai sistematica: è la nuova normalità e, come tale, urge “normalizzarla” strutturalmente. Non lo certificano soltanto i grandi riassicuratori internazionali ma anche organizzazioni come Legambiente, secondo cui da inizio 2023 i fenomeni meteo estremi sono aumentati del 135% annuo: solo da gennaio a maggio, se ne sono verificati ben 122 di varia intensità incrementando perdite e spese.
L’ultimo report Cnr-Iriss è perfino peggiore del bollettino, già pesante, di Swiss RE: dal 2011 al 2021 l’Italia ha contato quasi 52 miliardi di dollari di danni. Dopo le ultime sciagure, il trend assicurativo è in ascesa in un anno per 6 cittadini su 10 è cresciuta la preoccupazione riguardo l’impatto del climate change e quasi il 30% degli intervistati da Nielsen per Prima Assicurazioni siglerebbe volentieri una polizza ad hoc per casa e veicolo, se un agente o un broker riuscisse a convincerlo con una soluzione conveniente. Solo il 21% del campione sembra non essere interessato al tema. Occorre che le istituzioni aumentino decisamente la sensibilizzazione mediatica nei confronti dei rischi che corre il patrimonio immobiliare e i benefici, sotto forma di sgravi fiscali o bonus creditizi, nei confronti dei clienti che sottoscrivo tali prodotti.
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