Per i danni dovuti ad eventi estremi legati al clima, i costi assicurativi sono ammontati a 40 miliardi di dollari nei primi sei mesi dell’anno.
Le stime del colosso delle riassicurazioni Swiss Re parlano chiaro: sono cifre superiori alla media di 33 miliardi di dollari degli ultimi dieci anni ed è il secondo peggior semestre dopo il 2011 quando i forti terremoti in Giappone e Nuova Zelanda causarono danni per 104 miliardi di dollari.
Viviamo un tempo caratterizzato dal frequente succedersi di eventi meteorologici eccezionali alimentati dai cambiamenti climatici e le conseguenze sono già ben evidenti.
Di questi problemi si è parlato alla COP27 di Sharm el-Sheikh in Egitto, il più importante incontro globale delle nazioni mondiali per affrontare il tema del cambiamento climatico, al quale hanno partecipato duecento nazioni, migliaia di delegati di governi, istituzioni internazionali e ONG, ma anche scienziati e giornalisti, per cercare di concordare proposte concrete per attuare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (COP21) e gli impegni della comunità internazionale per fronteggiare il cambiamento climatico.
La bozza di documento finale della Cop27 che si conclude oggi, “riconosce la crescente urgenza di affrontare le perdite e di danni del riscaldamento globale”, ma resta ancora una pagina bianca nella parte riguardante i finanziamenti dei ristori.
La lotta al cambiamento climatico e la costruzione della resilienza richiedono sforzi urgenti e concertati. In questa partita il mondo delle assicurazioni svolge un ruolo importante sia nel contribuire a limitare i cambiamenti climatici sia nell’aiutare i cittadini e le società ad affrontarne gli effetti. Pensiamo solamente al fatto che in Europa gli assicuratori sono i maggiori investitori istituzionali con oltre 10.000 miliardi di euro di asset in gestione e al contributo sostanziale che possono in questa veste dare al processo di transizione verso un sistema economico sostenibile.
Alla vigilia della COP27, Insurance Europe, la federazione europea che riunisce le associazioni nazionali delle imprese di assicurazione, ha ribadito la determinazione del settore a fare la sua parte, ma chiede che il panorama normativo “faciliti il contributo del nostro settore alla transizione verde e una forte attenzione, soprattutto da parte delle autorità pubbliche, alla prevenzione e all’adattamento”.
Insomma, serve muoversi velocemente. Secondo un’analisi di Verisk Maplecroft, società inglese di consulenza strategica e di rischio globale, il surriscaldamento globale finirà per mettere a rischio, nell’arco di una generazione, la produzione agricola di 64 paesi del mondo. Ben 9 dei primi 10 paesi più minacciati dal clima sono in Africa.
Per uscire dal pericoloso stallo, i Paesi del G7 guidati dalla Germania e una sessantina di Paesi vulnerabili hanno annunciato la creazione di uno “scudo globale” contro i rischi climatici, paragonabile a un meccanismo assicurativo in parte sovvenzionato dai Paesi ricchi. Con 200 milioni di euro in dotazione, lo strumento potrebbe essere utilizzato dai paesi maggiormente vulnerabili, a monte o a valle, di un disastro climatico.
In pratica, deve consentire a questi paesi (tra i primi ci saranno: Bangladesh, Costa Rica, Fiji, Ghana, Pakistan, Filippine e Senegal) di accedere rapidamente ai fondi per l’assicurazione e la protezione contro i disastri, dopo alluvioni o siccità. La struttura mira a superare le “debolezze delle strutture di protezione finanziaria”, di questi Paesi, spesso già fortemente indebitati, anche se si tratta di un importante primo passo, ma di certo insufficiente.
Molto spesso facciamo l’errore di considerare gli effetti del cambiamento climatico come un qualcosa in divenire, certo, ma proiettati al futuro. Invece, anche l’Italia devere fare i conto con lunghi periodi di siccità, caldo anomalo fuori stagione e le piogge che sono diminuite di 1/3, salvo poi inondare tutto con violenti precipitazioni che scaricano a terra l’energia accumulata per mesi. Coldiretti stima che negli ultimi 10 anni il settore agricolo abbia registrato una perdita di 14 miliardi di euro a causa dei raccolti persi per colpa del clima o per i danni alle strutture causati da eventi meteorologici estremi.
Ma non è tutto. Secondo il nuovo report “Il clima è già cambiato” dell’Osservatorio Città Clima 2022 realizzato da Legambiente, con il contributo del Gruppo Unipol, nei primi dieci mesi dell’anno, seppur con dati parziali, sono stati registrati nella Penisola 254 fenomeni meteorologici estremi, +27% di quelli dell’intero 2021.
Preoccupa anche il bilancio degli ultimi 13 anni: dal 2010 al 31 ottobre 2022 si sono verificati in Italia 1.503 eventi estremi con 780 comuni colpiti e 279 vittime. Tra le regioni più colpite: Sicilia (175 eventi estremi), Lombardia (166), Lazio (136), Puglia (112), Emilia-Romagna (111), Toscana (107) e Veneto (101).
Nella lotta alla crisi climatica l’Italia è in ritardo. Manca ad esempio un aggiornamento del Piano nazionale di adattamento al clima, fermo dal 2018 in un cassetto del ministero dell’Ambiente, e nonostante l’Italia sia uno dei paesi in Europa più esposti al rischio di eventi climatici estremi, risulta agli ultimi posti come copertura assicurativa.
Secondo un recente studio condotto da CRIF e RED – società specializzata nella valutazione dei rischi indotti da eventi naturali estremi e connessi al clima – 1 impresa italiana su 3 è esposta a potenziali perdite economiche a causa di fenomeni naturali.
Ma non è tutto. L’Associazione Nazionale dei Risk Manager (ANRA) ha evidenziato in uno studio di dine 2021 che in Italia solo il 3,2% delle perdite sono assicurate e il 40% delle aziende non ha mai acquistato alcun tipo di copertura per questi rischi, considerando “trascurabili le conseguenze e i danni eventuali derivanti da eventi atmosferici o idrogeologici estremi”.
Cosa puntualmente smentita dai fatti visto che il 22% delle aziende intervistate ha dichiarato “di aver subito danni catastrofali che hanno causato una perdita diretta tra i 5 e i 10 milioni di euro (17%) o addirittura superiore ai 50 milioni di euro (10,4%)”.
Non vanno meglio le cose se consideriamo le abitazioni private, che rappresentano il bene più importante per gli italiani dal momento che l’80% dei nuclei familiari ne possiede una. Nonostante il 75% siano esposte a un rischio significativo di catastrofi naturali, sono poco meno del 5% quelle protette da una polizza contro questi rischi.
Del resto, colmare il gap di protezione climatica è uno degli obiettivi della Commissione Europea che vuole promuovere il più possibile schemi assicurativi nazionali contro le catastrofi naturali.
Cosa si può fare? Per rispondere scegliamo le parole pronunciate dalla presidente dell’Ania, Maria Bianca Farina, durante l’ultima assemblea dell’associazione: “È evidente che occorre dotare l’Italia di un sistema misto di gestione dei rischi catastrofali, in analogia con quanto si riscontra all’estero, in modo da accrescere la resilienza di cittadini e imprese di fronte a eventi avversi in fortissimo aumento”.
Se ne parla da anni, da decenni, ma ogni proposta avanzata è sempre finita nel cassetto di qualche Ministero. Ma ormai è tardi e non c’è più tempo per rimandare il futuro.