di Giuseppe Gaetano, chief editor
Ivass ha chiesto al ministero delle Imprese e del Made in Italy di avviare l’istruttoria per ammettere Eurovita all’amministrazione straordinaria.
Tra una settimana, entro il 31 marzo, sarà emesso il decreto che scioglierà collegio sindacale e consiglio di amministrazione della compagnia e affiancherà un “comitato di garanzia” al commissario Alessandro Santoliquido. La gestione straordinaria durerà almeno un anno e sarà prorogabile per un altro, durante i quali la sospensione di riscatti e cedole potrà essere prorogata. Il dossier non ha scaldato i Big. Quasi due mesi di trattative non hanno convinto né le banche né le grandi assicurazioni, eppure le ripercussioni della sorte del gruppo sul comparto Vita riguardano entrambe. Intesa Sanpaolo Vita, Unipol e Assicurazioni Generali non se la sono sentita di partecipare a un’operazione che – anche in caso di riuscita – non avrebbe offerto sufficienti garanzie, specie se parte del capitale mancante fosse stato versato come credito fiscale da utilizzare per compensare le possibili perdite. Le assicurazioni, complice il fantasma del default che si aggira in questo momento sui listini internazionali, vogliono conservare probabilmente più liquidità possibile visto che, se il rapporto tra premi e riscatti di clienti a caccia di investimenti più remunerativi come i Btp decennali aumentasse ancora, dovrebbero rivendere i bond svalutati prima della loro scadenza.
Una eventualità che non viene messa a bilancio e intaccherebbe dunque il patrimonio al di là dalla percentuale segnata dal Solvency II, parametro attendibile fino a un certo punto sulla reale capacità di rivalutare gli asset acquistati ai prezzi di mercato. La liquidità che si vuole risparmiare defilandosi dalla ricapitalizzazione di Eurovita (e che a Cinven non mancherebbe), sarebbe comunque messa a repentaglio dalla paventata accelerata al riscatto che potrebbe seguire il fallimento del salvataggio, incoraggiata tra l’altro da scarsi vincoli e disincentivi contrattuali. In realtà già da un paio di settimane, subito dopo l’insuccesso della moral suasion tentata da ANIA, il fascicolo era finito sul tavolo del governo: all’attenzione del ministero dell’Economia e del nuovo dg del Tesoro, Riccardo Barbieri Hermitte. Le esigenze di cassa sono di almeno altro 250-300 milioni dopo i 100 iniettati un mese fa dall’azionista. Le compagnie di dimensione medio-piccola e le reti distributive, le uniche disposte a dare l’ok all’operazione, da sole non bastano: serve un nome importante per risollevare l’indice di solvibilità dell’azienda. In caso di liquidazione coatta le perdite per i risparmiatori sarebbero inferiori al 10%, ma i tempi di recupero dei capitali sarebbero comunque molto lunghi.
“Solo alcune banche italiane possiedono interamente compagnie assicurative – ha osservato alcuni giorni fa Moody’s -, la maggior parte si affida a joint-venture” e “il caso Eurovita dimostra che per le banche il monitoraggio della solvibilità e dei rischi operativi dei loro partner chiave è importante dal punto di vista della governance“. Nella fattispecie, a causare il crack è stata una asset allocation disallineata col mutato contesto finanziario di rialzo dei tassi di interesse, che ha spalancato la forbice tra il rendimento del portafoglio e l’offerta al cliente. Una soluzione, con un po’ di buona volontà, c’è: anche la cessione solo di alcune delle polizze ai competitor porterebbe a Eurovita i denari necessari per ripristinare un corretto livello di Solvency permettendole di sopravvivere, anche se ridimensionata, e allo stesso tempo tutelare gli assicurati. Tra le ipotesi spuntate negli ultimi giorni, e rimaste tali, la spartizione di gestioni separate (9 miliardi, il 70% dei quali investiti in titoli governativi esteri) e prodotti legati ai fondi comuni (6 miliardi). Era uscito fuori il nome di Poste per rilevare le polizze Ramo I, mentre le Ramo III unit-linked sarebbero state acquisite dalle banche che hanno venduto i contratti di Eurovita.
In tutto parliamo di oltre 60 istituti di credito e reti di promotori. Dalle varie Bcc, Casse di risparmio e banche popolari – come Sparkasse, CariCento, CariVolterra, Credito Emiliano, Popolare di Puglia e Basilicata – fino ai grandi gruppi di consulenza Fineco Bank, Credem, Fideuram (Intesa Sanpaolo), IwBank, Banca Euromobiliare, Bnl (Bnp Paribas), Widiba (Mps): complessivamente più di 2.200 tra agenzie, broker e sportelli concentrati soprattutto a Nord Italia. C’è anche l’opzione dell’intervento statale, già intervenuto con decine di miliardi per tutelare il sistema bancario, da Mps nel 2012 alla Popolare di Bari nel 2019. Al confronto per Eurovita si tratterebbe di noccioline, che garantirebbero però la sicurezza delle famiglie e la salvaguardia dell’immagine di tutti: del settore private equity, di quello assicurativo e dei suoi stessi partner bancari, principali distributori.
Eurovita, 400 Milioni per Recuperare le Minusvalenze dei Bond Esteri