Il governo italiano lavora per “introdurre forme di assicurazione sui rischi legati alle catastrofi naturali, minimizzando ex ante i costi pubblici e privati”.
La richiesta di una polizza obbligatoria contro i rischi climatici, che allinei la legislazione italiana a quella di molti altri Paesi, avanzata dall’Associazione nazionale delle imprese assicuratrici al recente meeting “Innovation by Ania”, ha trovato una prima sponda nel ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin che l’ha definita “pienamente comprensibile” in una penisola dove, nel biennio 2020-21, Legambiente ha rilevato 1.118 eventi meteo estremi in 602 diversi comuni. Caldo torrido, nubifragi, frane, inondazioni e trombe d’aria hanno ucciso 261 italiani in 10 anni. Il conto esplode se si aggiungono i terremoti: il 73% del nostro territorio nazionale, infatti, è a rischio sismico. Eppure, secondo l’ultimo Rapporto Sigma, l’Italia ha attualmente il più grande gap di protezione rispetto a questa tipologia di rischio e soltanto il 5% delle case ha una copertura assicurativa contro terremoti e alluvioni a fronte di un rischio che riguarda almeno il 78% delle abitazioni.
All’obiettivo di proteggerci darà certamente una mano l’innovazione tecnologica e digitale su cui le assicurazioni “stanno investendo – ha detto la presidente di Ania, Maria Bianca Farina – per sviluppare nuove soluzioni e modelli di servizio per affrontare le sfide del presente”. Ad esempio, i modelli di Underwriting evoluti che utilizzano avanzate tecniche di Data Analytics per avere una maggiore capacità di stima dei rischi e previsione dei danni, al fine di “proteggere sempre meglio cittadini e imprese, case e fabbriche, dai rischi catastrofali”. Ma anche i rischi finanziari per le assicurazioni. L’anno che sta finendo – oltre alle vittime e ai danni, anche recenti, verificatisi in Italia – a livello globale ha conosciuto 3 dei disastri più costosi del decennio: l’inondazione che ha provocato danni per 40 miliardi di dollari in Pakistan; la raffica di ondate di calore estive che hanno causato perdite per oltre 10 miliardi in Europa; e l’uragano Ian che è costato alla Florida 100 miliardi. E gli scienziati prevedono che tali cataclismi aumenteranno in frequenza e intensità in futuro, con conseguenze economicamente e umanamente drammatiche.
Non va meglio tra le imprese: una su 3 è esposta a perdite economiche a causa di fenomeni naturali e relativa sottoassicurazione, strutturale nelle nostre Pmi. Secondo CRIF-RED costano alle aziende italiane circa l’1% di fatturato annuo che, nei prossimi 30 anni, salirà al 10%. È Sauro Mostarda, Ceo di Lokky, ad aver messo in fila tutti questi report in un suo recente approfondimento tematico. Un dato su tutti: secondo il Centre for Research on the Epidemiology of Disasters, solo nel 2021 i costi globali sostenuti a causa di eventi climatici estremi hanno superato i 252 miliardi di dollari, quando nei 20 anni precedenti la media è stata inferiore ai 154 mld. L’impellenza è dettata anche dal fatto che, con la crisi energetica in atto, l’umanità non si libererà tanto velocemente dalle fonti fossili responsabili dei cambiamenti climatici che – insieme all’incuria nella messa in sicurezza del territorio – rappresentano la principale causa delle catastrofi ambientali.
Torniamo così alla necessità di un’evoluzione dei modelli di business assicurativi e all’importanza dell’impact underwriting, “cioè dell’integrazione dei rischi climatici nelle politiche di sottoscrizione, con i fattori ESG al centro della costruzione dei prodotti, della valutazione dei potenziali assicurati e della determinazione dei premi – nota Mostarda -. Compagnie e player del mercato non potranno più limitarsi a elaborare coperture ai rischi ma dovranno accompagnare gli assicurati in un percorso di adattamento ai cambiamenti climatici, attraverso l’offerta di soluzioni digitali dedicate e logiche innovative di prodotto e gestione dei sinistri. Davanti a una sfida che non può più essere rimandata – conclude –, tutti gli attori coinvolti dovranno agire in modo sinergico per rendere tali coperture obbligatorie e discriminare un approccio darwiniano di assunzione del rischio che, in Italia, non ci possiamo più permettere“.