di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Mancherebbe meno di un mese al decreto attuativo senza il quale non sarà possibile declinare in prassi l’obbligo a contrarre, per le assicurazioni, e a tutelarsi, per le imprese, con polizze di copertura sulle catastrofi.
Il termine ultimo per ottemperarvi – fissato dalla Legge di Bilancio 2024 al prossimo 31 dicembre – appare ormai troppo ravvicinato per poter fare le cose con ordine e disciplina, tanto che ad alcuni osservatori ne sembra ormai inevitabile una proroga. Il tema è stato centrale, a fine aprile, nel Tv Show dell’Italy Protection Forum di Milano, organizzato da EMFgroup con i principali player del comparto, e di cui PLTV.it è stata media partner.
Le compagnie sono chiamate a un compito enorme e di carattere mondiale: risarcire i danni direttamente causati da terremoti, alluvioni, frane, inondazioni ed esondazioni a terreni, fabbricati, impianti, macchinari, attrezzature industriali e commerciali di ogni impresa grande o piccola – ad esclusione delle agricole – che d’ora in poi non voglia rinunciare a benefici fiscali, sussidi statali e agevolazioni creditizie di sorta. Questa è la blanda “pena” per l’aspirante clientela, rispetto alle vere e proprie sanzioni pecuniarie a carico delle compagnie, almeno stando a quanto riportato finora sulla carta.
Ovviamente, senza mutualità o sussidiarietà, per le aziende site nei territori idrogeologicamente e sismicamente più fragili il premio rischia di diventare insostenibile e l’affare troppo pericoloso per la capacità assuntiva dei player minori. Non tutta la penisola – che negli ultimi 10 anni ha contato 193 emergenze, di cui il 79% meteo – è minacciata infatti dai medesimi eventi avversi.
Sarà dunque possibile arrivare a un pricing uniforme e individuare i limiti di esposizione complessiva? Trovare un punto di equilibrio tra protezione dei clienti e sostenibilità economica, consentendo alle assicurazioni di mantenere una solida posizione di capitale per fronteggiare gli allarmi? E cosa accadrà in caso di trombe d’aria, tempeste marine, eruzioni vulcaniche, grandinate con chicchi record e altri fenomeni cataclismatici ad oggi esclusi dal novero? E’ possibile riunire le varie garanzie accessorie in un’unica estensione contrattuale, per rendere più chiara l’intera pratica ed evitare possibili ricorsi?
Mentre i diversi attori attendono risposte dalle istituzioni, a queste e tante altre domande, il cambiamento climatico va avanti, franchigie e richieste di risarcimento lievitano, anche per effetto dell’inflazione: lo documentano tutti gli ultimi report dei Big del settore. Non bastano certo gli stellari bilanci di un esercizio a calmierare i prezzi: all’estero, ad esempio in Usa e Asia, i danni complessivi sono ancora maggiori e il tariffario dei pochi grandi riassicuratori – che spalmano il rischio su scala mondiale – deve tener conto del trend globale nell’accollarsi l’esposizione delle singole cedenti. Alla base del sistema c’è sempre un principio di mutualità nella raccolta premi, in questo caso internazionale.
Di conseguenza, i complessi modelli matematici che valutano la probabilità dei sinistri non possono limitarsi alla situazione italiana nello stabilire soglie, scoperti, massimali, condizioni e clausole dei prodotti. Basti vedere il tempo che sta facendo da noi in questo maggio 2024, con lo Stivale spaccato in due in quanto a temperature e precipitazioni, per capire come anche gli algoritmi predittivi più sofisticati non riescano sempre a tener conto degli inevitabili imprevisti.
In questo scenario, forse subodorando il paventato ritardo a oltranza del decreto attuativo, ad aprile SACE si è portata aventi con “Protezione Rischio Clima”, una polizza per le aziende che pare ritagliata apposta sulla norma: il fatto che sia stata lanciata sul mercato dal Gruppo direttamente controllato dal Mef – in veste di “competitor” del comparto con cui sta trattando, e in convenzione con ANIA riguardo le garanzie della riassicurazione pubblica di ultima istanza – può apparire una mossa quanto meno controversa, e che andrà approfondita.
Le promesse, per trovare una guida e dipanare questa situazione così complicata, arrivano: lato riassicuratori, dallo strumento finanziario dei bond catastrofali; lato cedenti, dalle cosiddette polizze parametriche, ambito in cui è particolarmente attiva REVO: in caso di sinistro, prevedono un risarcimento prestabilito in base a indici esterni oggettivi, come il superamento di un determinato trigger di livello di pioggia o velocità delle raffiche di vento.
Di sicuro il nostro gap assicurativo (il ramo danni pesa solo sull’1,9% del Pil italiano) resterà ampio finché non diminuiremo contemporaneamente la vulnerabilità del Paese, il suo dissesto cronico complice dei disastri “naturali”, con opere e misure di prevenzione e manutenzione; oltre che con incentivi ai sottoscriventi e, in generale, alle politiche di decarbonizzazione e conversione dell’energia fossile in fonti alternative: altrimenti, il clima provocherà tragedie pur senza essere “estremo”. Ma al Piano nazionale per l’adattamento e al Fondo per le emergenze mancano risorse e, ad ogni modo, tutto questo non entrerà nel merito del testo a cui stanno lavorando Mimit e Ivass; semmai, dovrà essere disciplinato da altro provvedimento governativo ad hoc.