di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Subito lo scudo penale per medici e infermieri: fino al 31 dicembre 2024 tamponerà i gravi effetti della mancata riforma della colpa medica, traghettandola verso i sospirati decreti attuativi.
Sono infatti oltre 35mila le cause penali intentate ogni anno contro i camici bianchi che, sebbene temerarie e archiviate nel 97% dei casi, seminano terrore e confusione nella categoria impennando i premi delle polizze assicurative: negli ultimi anni si sono ridotte, ma l’importo dei sinistri è cresciuto. La misura approvata ieri dal Parlamento col decreto milleproroghe, anticipata su PLTV.it due settimane fa insieme alla notizia della nuova tabella unica nazionale per il risarcimento danni, circoscriverà la punibilità dei sanitari nell’ambito dei soli episodi di colpa grave ma, soprattutto, consentirà al governo di prendere tempo per studiare e attuare finalmente la tormentata legge 24/2017 Gelli Bianco sulla responsabilità professionale, che da ben 7 anni attendeva di essere messa a terra con norme organiche e condivise. Tanto da essere reputata vetusta e da riscrivere da sempre più addetti ai lavori.
L’esecutivo Meloni, come i precedenti, si muove con passi da pachiderma: ad aprile termineranno i lavori di una commissione di giuristi istituita ormai un anno fa dal Guardasigilli. Per non contraddire il principio dello “scudo” appena varato, la riforma limiterà la responsabilità per omicidio colposo e lesioni personali.
Il vero problema è delineare quali azioni rientrino nella classificazione della “colpa grave”: il banale allontanarsi del medico da linee guida e best practice, come suggerisce il Sole24Ore, resta comunque una definizione troppo generica e di mero buon senso. Vanno poi identificate le attenuanti: le “situazioni di grave carenza di personale sanitario” evocate dal testo potranno forse fornire una giustificazione all’operato singolo professionista ma certo non alla politica del sistema sanitario dello Stato (contro cui il paziente potrebbe eventualmente rivalersi, con altrettanto probabile scarso successo) obbligato dalla Costituzione a garantire la salute dei cittadini e quindi cure e terapie sollecite quando necessario. “Entità delle risorse umane, materiali e finanziarie concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare“, “contesto organizzativo in cui i fatti sono commessi” e “minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato” rappresentavano una scusa plausibile alle condizioni vissute durante la pandemia improvvisa e globale di un virus sconosciuto, ora non più.
La lezione non è stata imparata: le voragini spalancate nella sanità pubblica e i buoni propositi suscitati allora si sono tradotti in un esercito di “gettonisti in affitto” che, secondo i dati Anac, sono costati ai contribuenti 1,7 miliardi di euro negli ultimi 5 anni (più che se fossero regolarmente assunti), e vedremo ora quanti pensionandi disposti a rinviare l’uscita dal lavoro fino a 72 anni.