9 Dicembre 2024

L’Obbligo di Assicurazione Catastrofale slitta al 31 marzo 2025: le Risposte attese dal Decreto, la promessa delle Parametriche

di Giuseppe Gaetano, editor in chief

Il cosiddetto “obbligo”, per tutte imprese non agricole, di assicurarsi contro i danni catastrofali slitta al 31 marzo 2025: l’ennesima proroga della norma contenuta nella legge di bilancio di un anno fa, è contenuta in una bozza del decreto Milleproroghe all’esame oggi in Consiglio dei ministri.

Uno slittamento scontato visto che il dispositivo dà 3 mesi di tempo alle compagnie per adeguarsi al corrispondente obbligo (questo autentico) a contrarre, sebbene almeno le maggiori siano in realtà pronte da tempo. Non è detto che sia una cattiva notizia, potrebbe significare che il sospirato decreto attuativo è finalmente in arrivo: sarà il “regalo di Natale” del governo? Nel frattempo, non ci resta che fare il punto della situazione sul provvedimento.
Anzitutto – a quanto si è appreso – ci vorrà un provvedimento pubblico, che dichiari ufficialmente lo stato di calamità, per far scattare l’indennizzo assicurativo alle imprese danneggiate dagli eventi naturali. C’è quindi bisogno che gli eventi siano caratterizzati da una violenza tale che ne sia rimasta traccia riscontrabile su una pluralità di enti, assicurati o non, posti nelle vicinanze, acqua penetrata all’interno del fabbricato, sovraccarico di neve, valanghe, caduta di sassi e slavine.

Se un’impresa situata appena fuori dal perimetro circoscritto dalle autorità viene colpita lo stesso dagli effetti di un terremoto o di una inondazione, magari in maniera più limitata, può dire addio al rimborso. Lo stesso se l’allagamento subìto è dovuto a una cosiddetta bomba d’acqua, che non ha rotto però gli argini di fiumi e torrenti creando un’alluvione. A proposito, le “frane” comprendono anche quelle nevose, dunque valanghe e slavine? Non sembra.
Tra le diverse estensioni necessarie per una copertura che sia davvero al 100%, pagando premi aggiuntivi a parte, spiccano inoltre grandine, trombe d’aria e tempeste connettive; per eruzioni vulcaniche e bradisismi, invece, pur volendo non esistono polizze perché “il mercato globale delle riassicurazioni non ha alcun interesse a esporsi su questo tipo di rischi” ha dichiarato di recente il dg Ania, Dario Focarelli.

Il testo del dispositivo non contemplerebbe nemmeno la business interruption come ulteriore rischio da cui proteggersi: se l’impresa assicurata è ubicata in altro territorio rispetto a quello terremotato o alluvionato, è risarcita anche per l’interruzione dell’attività provocata dalla business interruption altrui, ovvero delle aziende dell’indotto o della filiera?
I nodi da sciogliere non finiscono qui. Come garantire, ad esempio, subito l’anticipo del 30% dell’indennizzo complessivo, svolgendo un’attività di perizia che – anche alla luce delle numerosi variabili sopraelencate – è umanamente impossibile sbrigare in pochi giorni? Inoltre, davvero questo governo dei condoni andrà fino in fondo alla legge, togliendo agli imprenditori che non stipulano la polizza tutti gli incentivi pubblici, incluse le garanzie sui prestiti del Fondo Pmi di cui beneficia circa l’80% delle nostre piccole e medie imprese? Tra l’altro, in tutto questo, non è previsto nemmeno un incremento dei già blandi aiuti finanziari pubblici, per supportare i necessari investimenti delle aziende in prevenzione e manutenzione degli impianti, onde mitigare i rischi e di conseguenza premi che si annunciano esorbitanti in assenza di mutualità.

Al contrario dei “clienti”, le compagnie non chiedono proroghe sulla data di entrata in vigore della legge e sono pronte ad assumersi i 15 miliardi di valore massimo del rischio simulato in prima battuta da Ania nello scenario peggiore, aspettando nero su bianco i chiarimenti sull’impegno concreto del comparto. Valori – è bene specificare – relativi alla ricostruzione e al ripristino, non al bene assicurato in sé.
Non sarà poco, comunque, il capitale da accantonare: dovranno essere vincolati una decina di miliardi l’anno, contando i 5 stanziati da Sace in veste di riassicuratore. Ciascuna compagnia arriverà fin dove potrà, ma “il pool si farà” ha assicurato il codirettore generale dell’Associazione, Umberto Guidoni, tra i relatori del ReInsurance Day 2024 di Milano: l’evento dedicato al rinnovo dei trattati che quest’anno, per la prima volta, ha ospitato un convegno per fare il punto – con Sace, Ismea e i maggiori player del settore – proprio sull’offerta e gli sviluppi normativi della questione nat cat.

Nell’occasione si è parlato anche dei prodotti parametrici, ultima frontiera per avere quanto meno una misura scientifica, oggettiva, “salomonica”: un approccio matematico al fenomeno atmosferico, basato su certificazioni terze, che almeno dovrebbero fissare costi più obiettivi e ridurre lo spazio per controversie e interpretazioni. Tali formule alternative “index-based” riguardano anche siccità, caldo estremo, cicloni tropicali, mareggiate e altri eventi che interessano pure l’agricoltura, unico ambito dispensato dalla legge accedendo già al fondo AgriCat: stando a un report congiunto firmato da Generali e UNDP, Parametric Insurance to build financial resilience, le parametriche potrebbero colmare il protection gap non solo italiano ma planetario – stimato in ben 1,8 trilioni di dollari – avvicinando al mondo dell’assicurazione comunità finora poco penetrate dalle polizze tradizionali.
Il problema è appunto che si tratta di indennizzi predefiniti (agganciati a soglie pluviometriche, giornate senza pioggia, gradi termici, velocità del vento ecc.) anziché ancorati ai danni effettivi: nel caso di alluvioni e frane, bastando ormai un normale temporale per scatenare l’emergenza in un suolo già fragile (provato da precedenti eventi e soprattutto non messo in sicurezza dagli enti locali), il contraente non è altrettanto garantito di rientrare delle perdite reali. Naturalmente anche questi strumenti hanno bisogno di essere compenetrati con l’impegno pubblico, ovvero un ecosistema appropriato che coinvolga ogni attore della resilienza finanziaria del sistema Paese.

Lorenzo Vismara (Gen Re): “L’Impatto del Decreto Nat Cat si vedrà tra fine 2025 e inizio 2026”

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