di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Scope è stato tra gli ultimi in ordine cronologico a ribadire in questi giorni che, anche per merito dei bassi accantonamenti per perdite su prestiti, il campione di 8 banche monitorato – Intesa, UniCredit, BPM, MPS, BPER, Mediobanca, Credito Emiliano e Pop Sondrio – ha abbassato il ROE medio di un altro punto percentuale al 30 settembre rispetto al precedente trimestre, portandolo al 14%; e che in generale il comparto appare ben posizionato per affrontare qualunque incertezza, in particolare riguardo le dinamiche di finanziamenti e depositi.
“I fondamentali finanziari sono solidissimi – dice l’agenzia di rating -, come previsto la redditività del terzo trimestre si è stabilizzata dopo aver raggiunto il picco nel secondo, ma gli istituti italiani sono fiduciosi di poter ripetere o addirittura battere i risultati del 2023 nel 2024 grazie a tassi più alti (in realtà, senza ennesime turbolenze, sembrano destinati a scendere lentamente assieme all’inflazione, ndr), ripresa delle commissioni, efficienza dei costi e basse perdite su crediti“. Certo le acque rimangono turbolente. Ma quando mai non lo sono state.
La domanda di credito potrebbe scendere in maniera importante, il margine di interesse ridursi, il costo del rischio risalire e la concorrenza sui depositi pesare più del previsto anche a causa dei titoli di Stato rivolti agli investitori retail, “ma la qualità degli asset per ora è stabile e anche se il miglioramento dei parametri di qualità creditizia sta giungendo al termine, non vi sono ancora chiari segnali di deterioramento: ciò è probabilmente dovuto alla resilienza di imprese e famiglie, e al lasso di tempo tra rallentamento dell’economia reale e default. Infine, conclude Scope, “la stabilità dei depositi negli ultimi due trimestri potrebbe indicare che i clienti più esperti hanno già spostato i propri soldi dai conti correnti“.
Per il competitor S&P le perdite di credito delle banche italiane aumenteranno fino a circa 70-80 punti base nel 2024, ma comunque meno dei 100 previsti; l’economia decelererà, ma senza recessione. Le differenze tra i diversi istituti diventeranno sempre più evidenti e la loro resilienza sarà messa ancora alla prova ma, nonostante tutto, “è improbabile un deterioramento significativo della qualità degli attivi” scrivono gli esperti.
Di recente il presidente ABI, Antonio Patuelli, ha affermato che l’indice globale di solidità bancaria dell’Italia è passato in 6 anni dal più basso a superiore per alla media euro, incluse le grandi economie. A ottobre il differenziale fra tasso medio di tutti i prestiti in essere (4,7%) e quello sulla raccolta (1,12%) è salito a 3,58 punti base, complici extra oneri e canoni introdotti negli anni dei tassi negativi, che in effetti adesso non avrebbero più ragion d’essere. Ma le nuove regole di Basilea 3+ contempleranno il rafforzamento del patrimonio, così accantonamenti prudenziali e aumenti di capitale saranno sempre più decisivi – insieme alle opportune agevolazioni fiscali – per evitare di razionare i finanziamenti.
D’altronde, le criticità legate ai pagamenti in ritardo sono esigue e sotto controllo proprio per i rigidi criteri imposti dalla vigilanza esattamente al fine di non crearle e per l’oculatezza dei clienti nel ricorrere ai risparmi per dormire sonni più tranquilli. Anche volendo e potendo accorrere in aiuto dei clienti, gli intermediari hanno le mani legate dall’Europa, che chiede al contrario di rafforzare le pratiche per identificare quando le controparti diventano eccessivamente indebitate o mostrano esposizioni troppo concentrate.
Oltre alle garanzie statali, solo il taglio dei tassi di interesse può togliere la coda dalla morsa del serpente e invertire la linearità della parabola a cui assistiamo: meno prestiti, meno consumi, ristagno economico e ancora meno prestiti. C’è anche l’arma della tecnologia dalla parte degli intermediari, che con l’IA promette di rivoluzionare e rilanciare il business. Lo vedremo presto, il 2024 è oramai alle porte.