di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Le grandi banche italiane (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco BPM, BPER e MPS) hanno registrato un utile netto aggregato di 6 miliardi di euro nel primo trimestre del 2024, +25% annuo ma -4% sul trimestre.
Anche il margine di interesse aggregato è aumentato del 15% a/a ma, per la prima volta da 7 trimestri consecutivi, è sceso dell’1% dal 31 dicembre scorso: la rivalutazione delle attività è stata sostanzialmente completata in un contesto di volumi di prestiti fiaccati, mentre costi di finanziamento e oneri di copertura sono aumentati. Ciononostante, l’NII dovrebbe rimanere robusto nell’anno in corso poiché gli spread commerciali medi rimarranno probabilmente più elevati rispetto al 2023, anche contando gli attesi tagli al costo del denaro a partire dalla prossima riunione Bce del 6 giugno.
A fare i conti in tasca ai Big (ma anche gli istituti “less siginificant” hanno registrato ottimi bilanci nei primi 3 mesi dell’anno) è Morningstar DBRSI: le performance del nostro comparto – che ha ultimato in questi giorni la pubblicazione delle relazioni di bilancio – riflettono ricavi più elevati, buon controllo dei costi e accantonamenti per perdite su crediti inferiori, per un ROE in aumento nei 12 mesi dal 12 al 14%. “I rischi al ribasso appaiono sotto controllo, tuttavia permane l’incertezza data la prevista crescita modesta del Pil e il livello dei tassi di interesse che rimarrà elevato per qualche tempo” sostengono i ricercatori dell’agenzia di rating, aspettandosi “che le banche con un mix di ricavi più diversificato continuino a ottenere buoni risultati“.
Le commissioni nette sono aumentate del 5% su base annua e del 10% trimestrale: quelle derivanti da gestione patrimoniale, investimenti e bancassicurazione hanno registrato una ripresa mentre le commissioni dei servizi bancari tradizionali sono state limitate soprattutto dalla modesta attività di prestito. Il costo del rischio medio è sceso da 41 a 32 pb e i restanti dati su qualità degli attivi, tasso di default e stock di Npe non destano ansie confermando l’outlook fornito da PLTV prima della diffusione delle trimestrali.
A partire da tale quadro, possiamo prevedere che il progressivo calo dei tassi di interesse non metterà in crisi la redditività, il patrimonio prudenziale resterà solido e la capitalizzazione a livelli record. Tra l’altro, dopo anni di risanamento del capitale e riduzione dei costi, gli istituti italiani – promossi anche dai nuovi target price di KBW e Barclays – stanno facendo meglio della media Ue quanto a CET1 e Roe.
Un’ipotetica spina nel fianco potrebbe arrivare dai deteriorati. Hanno toccato il livello minimo nel terzo trimestre 2023, per risalire leggerissimamente nei due successivi, in particolare i prestiti “Stage 2” che da in bonis potrebbero finire in sofferenza: un trend che tuttavia, nonostante l’economia debole, a nostro parere difficilmente impennerà viste le prospettive di rientro dell’inflazione.
Per assorbire le temute potenziali perdite e fronteggiare un presunto aumento di insolvenze, prestiti sottoperformanti e pagamenti arretrati, ABI ha chiesto a EBA di rendere più flessibili le ristrutturazioni dei crediti, invitando intanto il comparto ad anticipare le più alte soglie di requisiti patrimoniali imposte dalle regole di Basilea 3+. La stretta monetaria, infatti, si manifesta anche “nella riduzione degli acquisti della Bce di titoli di Stato, nell’impennata dei costi dei finanziamenti Tltro di liquidità e nell’azzeramento della remunerazione della riserva obbligatoria che le banche debbono mantenere depositata” ha ricordato di recente il presidente Antonio Patuelli senza dimenticare, tra le sfide che attendono il settore, “la più forte concorrenza nella raccolta del risparmio”: l’investimento in prodotti bancari, specie “con durata prestabilita, combatte i rischi di razionamento del credito in una fase in cui si è molto ridotta la liquidità nel mercato”. Concorrenza che, per inciso, arriva pure dal governo che in un anno ha emesso oltre 60 miliardi di euro di obbligazioni per investitori al dettaglio.
Di certo il pressing sui finanziamenti è destinato a intensificarsi man mano che gli istituti rimborseranno i restanti 140 mld del Tltro III in scadenza a fine ano: secondo Scope Ratings per alcune piccole banche italiane le consistenze sono maggiori della liquidità in eccesso depositata presso la Bce, il che significa che dovranno finanziare i rimborsi tramite emissione wholesale, cartolarizzazioni o riducendo i bilanci.
Più ottimistica l’ultima ricerca di Barclays, secondo cui i net interest margin dovrebbero reggere e gli utili beneficiare della pronosticata ricrescita dei volumi dei finanziamenti, trovando quindi “ingiuste” certe valutazioni depressive, che devono per forza scorgere fantasmi all’orizzonte e aggiungere un immancabile “ma…” alla sostanziale positività dei propri report: alzi la mano chi non ha letto una survey o un’inchiesta giornalistica che non accenni a nubi in lontananza quando splende il sole e i fondamentali, come adesso, appaiono più forti che mai. Uno scenario obiettivo, quello di Barclays, valido anche per il 2025 con UniCredit e BNP tra i player preferiti. Fiduciosi – dall’altra parte dell’oceano – pure gli analisti di Bank of America, che danno i profitti 2025 altrettanto in aumento e secondo cui i sempre più stringenti stress test europei alla fine “non hanno colto il punto: le banche hanno semplicemente un potenziale di stress molto inferiore rispetto a prima“.
Ne sono convinti gli stessi attori. “Lo stato di salute è eccellente – ha dichiarato nelle scorse settimane Gaetano Miccichè, chairman divisione Imi Corporate&Investment banking di Intesa Sanpaolo, intervenuto a un convegno a Palermo -. Rispetto a quando ho iniziato a lavorare 50 anni fa adesso le banche sono tutte quotate, quindi pubbliche, con azionisti internazionali e meccanismi di corporate governance, e se devono fare una delibera deve essere esaminata in maniera attenta: dopo quello che è successo nel 2008, c’è stato un raddoppio della patrimonializzazione degli istituti, che oggi hanno un capitale liquido al 15-16%”.
Di “clima positivo per il 2024” ha parlato anche, ad esempio, anche l’amministratore delegato e fondatore di Cherry Bank Giovanni Bossi, a margine del congresso annuale di Assiom Forex: “Non credo ci sarà particolare tensione sul fronte dei crediti deteriorati generati da sistema bancario, perché non vediamo una forte perdita di qualità degli attivi – ha spiegato nell’occasione a Teleborsa -. Le grandi banche oggi hanno i bilanci assolutamente a posto e anzi hanno spazio, se serve, per assorbire qualche peggioramento della qualità creditizia”, semmai “il problema è aiutare famiglie e imprese a rimettersi a posto con i pagamenti ritardati”. Gran parte dei comunicati sui primi 3 mesi del 2024 contiene una view rosea sul prosieguo dell’esercizio, grazie anche a un recupero di commissioni e impieghi.
Ad ogni modo l’attenzione è massima. Bankitalia ha lasciato il coefficiente di riserva di capitale anticiclica invariato a 0% per il secondo trimestre del 2024 mentre, per presidiare pericoli connessi con eventi inattesi indipendenti dal ciclo del credito, ha applicato un systemic risk buffer (SyRB) pari all’1,0% delle esposizioni ponderate per il rischio di credito e di controparte: sarà raggiunto gradualmente costituendo una riserva pari allo 0,5% delle esposizioni rilevanti entro fine 2024 e il rimanente 0,5 entro il 30 giugno 2025. “Fornirà alle banche risorse utili ad assorbire le perdite e sostenere l’offerta di credito” afferma Via Nazionale. Fondamentali, in questo senso, resteranno i sistemi di garanzia dei prestiti.
Banche Italiane ed Europee davanti al 2024, le Big Tech sono il Competitor