di Giuseppe Gaetano, chief editor
Sono in arrivo i bilanci del primo trimestre 2023. Per gli analisti di Refinitiv i profitti aziendali riporteranno una riduzione media del 2,6% annuo, ma la frenata non riguarderà tutti i comparti: i titoli bancari, infatti, saranno in assoluto i più performanti e si muoveranno in controtendenza.
Nonostante inasprimento della politica monetaria Bce, flessione della domanda e incremento dei costi di finanziamento, gli utili delle banche Ue sono dati infatti in ascesa del 24,7% e quelli delle italiane addirittura del 25,1%: “Supereranno in media le aspettative di consenso per ricavi e utili netti – confermano gli esperti di UniCredit Research –, perché continueranno a beneficiare dell’aumento dei tassi in uno scenario del costo del rischio ancora favorevole“, proseguendo dunque ad avvantaggiarsi del gap fra tassi sui nuovi prestiti e sui depositi, il cui repricing viaggia più lentamente. Le previsioni per l’intero anno sono del +19,7%. Inoltre per lo European Retail Banking Radar di Kearney, che analizza le prestazioni del segmento retail in 89 banche europee di 21 differenti mercati, gli istituti italiani – grazie alla tecnologia – sono oggi molto più efficienti e produttivi del passato, con ampi margini per migliorare ancora la remuneratività. Dalla crisi del 2007 Intesa Sanpaolo, UniCredit, Mps, BancoBpm, Credem e Credit Agricole Italia hanno segnato un’impennata nel volume d’affari e nella produttività: quest’ultima è raddoppiata per dipendente e quasi triplicata sulla singola filiale, grazie anche alla contemporanea riduzione di personale (-16%) e soprattutto di sportelli (-42%), che hanno compensato gli investimenti in digitalizzazione.
“Le banche italiane sono più conservative nel lending in termini di prezzi rispetto ad altri Paesi, nonostante una rischiosità del credito generalmente più elevata – spiegano i ricercatori -. Si assiste a un’elevata competizione tra istituti che genera una minore marginalità per cliente, sebbene l’Italia abbia un ricavo più alto” al netto degli accantonamenti, doppi rispetto alla media Ue. Ma non è l’unica analisi ottimistica. Dopo quella alle 3 maggiori compagnie assicurative europee, Ficht Ratings ha impartito di recente la propria benedizione anche alle 5 maggiori banche italiane: Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco BPM, Gruppo Iccrea e BPER Banca dovrebbero rimanere solide nonostante l’attuale volatilità del mercato. Questo grazie soprattutto a strutture di finanziamento dominate dai depositi dei clienti, che rappresentano fino al 72% della raccolta totale e hanno dimostrato grande stabilità attraverso i vari cicli economici. La loro crescita negli anni “ha iniziato a rallentare nella prima metà del 2022 e prevediamo che questa tendenza acceleri nel 2023” si legge nel rapporto che cita tra le cause inflazione, rialzo dei tassi di interesse, fine delle tutele Covid e concorrenza di investimenti alternativi. Tuttavia pur variando per accesso al funding e strumenti, tutti e 5 gli istituti hanno emesso debito tra fine 2022 e inizio 2023 e “l’appetito degli investitori per le banche sarà resiliente, nonostante il rallentamento economico” e l’inevitabile aumento dei costi di emissione provocato dalla stretta di Francoforte: questa, infatti, continuerà ad aumentare anche le entrate visto che gran parte dei prestiti in Italia è ancora a tasso variabile.
Dunque, il finanziamento non dovrebbe pesare sulla redditività. Inoltre le banche sono state in grado finora di riflettere un forte potere di determinazione dei prezzi, e dispongono di una capitalizzazione adeguata per assorbire il potenziale deterioramento della qualità degli attivi. Le grandi, ma anche le piccole. Lo dimostra – dopo la crisi bancaria di metà marzo in Usa e il caso Credit Suisse – la prima trimestrale di Charles Schwab, che ha visto una fuga del 30% dai depositi ma – come negli ottimi bilanci di JP Morgan, Citigroup, Wells Fargo e Pnc Financial – un aumento di profitti e giro d’affari tale da permetterle di tenervi testa, facendo perfino salire il titolo in Borsa. Ora è scoppiato il caso First Republic, ma “tutte le banche europee incluse quelle italiane, indipendentemente dalle dimensioni, sono assoggettate sia al rispetto di requisiti prudenziali sia a un sistema di supervisione molto rigoroso – ricorda da ultima Elena Goitini, ad di Bnl Bnpp, intervistata dal Sole24Ore – mentre le banche americane, soprattutto quelle divenute insolventi, operavano invece in un contesto in cui c’erano regole meno stringenti. I fondamentali, quindi, ci fanno dire che siamo in una situazione in cui è lecito un cauto ottimismo“.
Certo le incertezze all’orizzonte non sono del tutto svanite, lo sottolineano i rafforzamenti delle riserve decisi dai board a fronte di potenziali perdite su prestiti. Nei giorni scorsi la Commissione Ue ha pubblicato la sua proposta di modifica della gestione delle crisi bancarie, allargando lo strumento della risoluzione alle banche di medie dimensioni: una legislazione pensata per rendere più facile il trasferimento del contante dei depositanti in istituti sani e la liquidazione di quelli in difficoltà senza attingere dal denaro dei contribuenti, e “più difficile per i governi versare cash nelle banche a rischio fallimento in forma precauzionale” ha scritto il Financial Times, citando l’esempio di Monte Paschi nel 2017. Tuttavia all’orizzonte, come dicevamo, non sembrano obiettivamente palesarsi rischi di tal genere. La stessa Bce ha rilevato, nella recente supervisory banking statistics, che i coefficienti patrimoniali aggregati delle banche significative dell’eurozona sono aumentati nel quarto trimestre del 2022, grazie alla riduzione dei crediti deteriorati e al parallelo aumento dei margini d’intermediazione, saliti all’1,36% dall’1,23 del trimestre precedente per un incremento complessivo di 10,3 miliardi di euro.
Le Banche Italiane salutano il 2022 con Fiducia e 584 miliardi di Bond