di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Oltre 70 miliardi di euro di prestiti in meno nel 2023, circa il 6% rispetto al 2022.
Che i finanziamenti complessivi a famiglie e imprese in Italia flettano mentre in Ue crescono, come rileva anche l’ultima elaborazione di First Cisl su dati Bce, non è una novità assoluta, specie per le aziende che da ormai un decennio abbisognano di sostanziose garanzie pubbliche per vederseli erogati dagli intermediari. Il gap continentale era già stato riccamente documentato a inizio agosto dalla Cgia, sempre su dati di Francoforte. La contrazione sarebbe l’altra faccia dei profitti record certificati dalle ultime trimestrali delle banche, italiane il rovescio della medaglia dell’impennata da 450 pb impressa dalla Bce al costo del denaro da luglio 2022, oltre che della crescita del Pil oramai prossima allo zero (vicino a quello del 2007) e del maggior ricorso ai liquidi depositati.
Simili le stime fornite in contemporanea da Unimpresa: 64 mld di stretta creditizia (-5% annuo) tra famiglie (-7 mld) e soprattutto imprese (-57 mld).
Lato famiglie il dato complessivo è sostanzialmente stabile (672,5 mld; -1%) e il lieve calo dei volumi erogati sarebbe da imputarsi esclusivamente al trend negativo dei prestiti personali, calati di 13,2 miliardi (-9,39%) a 127,8., seppur a ritmi nettamente inferiori che in passato, il credito al consumo è aumentato infatti di 5,8 mld (+5,14%) a 120,1; mentre il business dei mutui – sorpresa – è fermo, che è già un buon risultato rispetto a tutte le altre analisi esibite in questo 2023 concordi nell’attestare un crollo verticale del giro d’affari per comprare casa. Anzi, con uno stock di 424,7 mld registrano addirittura una variazione positiva (+0,13%): anche guardando il dato da gennaio la flessione, pari a 2,2 mld, è di appena lo 0,53%.
Altro dato “dissonante” del rapporto Unimpresa sono le sofferenze nette dei privati, cresciute di quasi il 10% in 12 mesi e del 25% da gennaio: 3,5 mld in più di crediti problematici in 9 mesi, che portano il totale a sfiorare attualmente i 18 mld. Un arretrato di rate non pagate che non appare però sui bilanci delle banche, riuscite evidentemente a recuperare l’ammanco con altre voci, e smentito dalla stessa First Cisl che – pur confermando la pesante riduzione degli impieghi (-5,8% rispetto al +1,3 di media europea) – al 30 settembre scorso registra un Npl ratio netto dei grandi istituti migliorato da 1,5 a 1,4%; così come il peso dei crediti Stage 2 sul totale di quelli in bonis, calati da 13,4 al 12,5%.
Lato intermediari, per il sindacato la scelta di convertire la tassa sulle entrate straordinarie degli extra-profitti in riserve non distribuibili a 2,5 volte l’importo dell’imposta (quindi senza impatto su profitti e capitale) accrescerà ancora la solidità patrimoniale del comparto, già rafforzata da mantenimento degli utili e riduzione delle attività ponderate per il rischio, ma anche calo di personale (-3,5%, 8.500 professionisti) e rete sportellare (-5,9%, 740 unità): il vigoroso processo di consolidamento, infatti, ha portato gruppi e banche indipendenti a ridursi attualmente a un centinaio. Il costo del credito, ridottosi ulteriormente al minimo storico dello 0,26%, unito ad aumento di proventi operativi (+21,8%) e margine di interesse (+56,7%), ha fatto schizzare gli utili dei 5 Big (+78,6%) e ridurre il cost/income (42,5%); nonostante la leggera diminuzione delle commissioni (-2,7%) provocata da stagionalità, scarse vendite di prodotti di asset management e mercati deboli nell’investment banking.
Posto dunque che i crediti deteriorati rappresentano tutt’altro che un’urgenza per il sistema, c’è un altro alert gonfiato da ridimensionare, il “credit crunch”. Non è solo l’ultimo bollettino mensile ABI ad essersi accorto che in realtà – nonostante le numerose ricerche di settore che da mesi parlano di privati in crisi nera, messe alla porta da criteri bancari sempre più stringenti – le banche stanno prestando più soldi che prima del Covid. Nonostante due fattori: il venir meno della liquidità iniettata nell’economia italiana nel biennio pandemico (tra moratorie e garanzie Sace e Mcc); e la seguente impennata dei tassi di interesse, che già da sola (con l’Euribor a 6 mesi oltre il 4%) renderebbe fisiologico il calo dell’erogato in qualunque condizione (infatti è diminuito in tutta Europa). Evidentemente richieste di credito e importi effettivamente erogati, non vanno di pari passo. Banca Ifis ha rilevato per il Sole24Ore che lo stock di crediti ai clienti – imprese e famiglie -, cartolarizzazioni e cessioni di crediti in bonis incluse, è salito complessivamente del 5,4% negli ultimi 5 anni.
La Corte di Giustizia Interviene, di Nuovo, nella Direttiva sul Credito al Consumo