11 Aprile 2023

Capitali e depositi compensano il Calo dei Prestiti

di Giuseppe Gaetano, chief editor

Il rialzo dei tassi di interesse frena, nei mesi a cavallo fra il 2022 e il 2023, i prestiti delle banche italiane ed europee; che però possono contare su un capitale molto più rafforzato, e una stabile base dei depositi.

Dall’ultimo Bollettino economico di Bankitalia emerge inoltre come, visti anche i buoni numeri sulla liquidità, non ci sia un problema di minusvalenze sul portafoglio dei titoli di stato e che “più della metà dell’ammontare complessivo dei depositi bancari detenuti dalla clientela è protetto dai sistemi di garanzia nazionali“. Insomma la “tempesta perfetta” non s’è scatenata e, pur permanendo nubi all’orizzonte, per ora investitori e risparmiatori del vecchio continente possono stare razionalmente tranquilli sotto l’egida delle autorità di vigilanza. Le criticità, in questo momento, sono sul versante dei prestiti. A febbraio, si legge nel documento di via Nazionale, il credito al settore privato non finanziario è diminuito del 3,2% valutato sui tre mesi e in ragione d’anno, per effetto della forte riduzione di quello alle imprese (-7,5% dal -3,1 di novembre). L’interesse medio è salito di circa 60 punti base da novembre (al 3,6% a febbraio). Immobili invece i nuovi prestiti alle famiglie, frenati soprattutto dai mutui: qui il costo è salito al 3,8% dal 3,1.

Tuttavia, il repricing dei portafogli ha compensato perdite e maggiori costi di finanziamento e le nostre Intesa Sanpaolo, Unicredit, Bpm e Bper sono più liquide e solide di molte altre colleghe anche europee. Se in Italia il credito bancario diminuisce, verso i privati come alle Pmi, non è colpa solo dei tassi. Gli istituti sono infatti obbligati da Basilea III ad assorbire più capitale regolamentare per concedere prestiti, questo comporta una minore tolleranza del rischio anche da parte degli intermediari e lo standard correlato al rating della società ha svantaggiato le piccole imprese, incapaci di garantire la stessa redditività delle grandi. Le banche, in sostanza, sono costrette a un’erogazione oculata per proteggersi. Anche negli Usa i prestiti delle banche commerciali si sono ridotti: nelle ultime due settimane di marzo, tra default bancari e la generale riduzione dei depositi a favore dei money market funds, secondo la Fed sono calati di 105 miliardi di dollari. Si tratta del peggior calo dal 1973.

L’impatto dei casi Svb e Credit Suisse sulle quotazioni azionarie del settore bancario è durato poco più di una settimana con effetti contenuti sui listini italiani, contando che venivano da mesi di movimento rialzista, ma la vicenda rischia di inasprire ancora le condizioni di prestito: per questo gli analisti hanno rivisto le aspettative sui tassi dal 4 al 3,6% per settembre. Secondo l’Fmi l’inflazione globale dovrebbe passare al 6,6% nel 2023 (attualmente in Ue è al 6,9 e in Italia all’8,2) e al 4,3% nel 2024 mantenendosi quindi sopra i livelli pre-pandemia (3,5%) e quelli tassativi richiesti dalla Bce (2%) per almeno altri due anni: è auspicabile però che la stretta monetaria termini molto prima, già nell’anno in corso, per non mettere a rischio la stabilità finanziaria e lasciare il tempo alle avvitate dell’Eurotower – così come al calo del prezzo dell’energia – di riflettersi sull’indice dei prezzi al consumo.

Quest’ultimo ha ridimensionato le intenzioni d’acquisto dei consumatori verso servizi e beni da proteggere, contribuendo al rallentamento del business. Il mercato dei mutui resta comunque ben distante dal 2008 – quando i finanziamenti fissi erano intorno al 6%, 2 punti più di oggi – e anche del successivo periodo tra il 2011 e il 2012 quando, con la crisi di liquidità degli istituti, fissi e variabili oscillavano attorno al 7%. Le banche sono disposte alla rinegoziazione, ma certo non possono perderci se non si vuole mettere in crisi il sistema economico nazionale. Dal 6 aprile sono partite quelle di Cassa depositi e prestiti su circa 130mila contratti con 6.600 enti locali tra Comuni, le Province e Città metropolitane. Il debito residuo totale sarà di 24 miliardi. Per i privati, però, il discorso è diverso.

Uno dei problemi è che il patrimonio immobiliare italiano è vetusto e il nuovo, poco rispetto alla domanda, è molto più caro e dunque sempre meno avvicinabile in questa fase in cui i mutui sono più onerosi: l’aumento del costo del denaro vi ha allontanato per primi proprio i più giovani, pur usufruendo gli under36 ancora di qualche agevolazione. Tuttavia anche in questo comparto una leggera flessione, dovuta alla contrazione della spesa da parte delle famiglie, appare inevitabile se è vero – come riporta il Corriere della sera – che nel giro di un anno i mutui per comprare una casa a Milano sono aumentati del 33%, tre volte l’inflazione: un tasso fisso di 25 anni al 70% , per una abitazione di 90 mq, varrebbe in media 1.636 euro mensili con punte di oltre 3mila in centro.

Per quanto riguarda invece le imprese, secondo Studio Temporary Manager nel 2023 le aziende italiane pagheranno interessi per finanziamenti, mutui e leasing per un totale di oltre 35 miliardi, 15 in più del 2022: 10 solo in Lombardia, 4 in più nei 12 mesi, dove le attività produttive si avvalgono maggiormente dell’aiuto degli istituti di credito; a livello regionale seguono Emilia Romagna e Lazio con 3,7 a testa. “L’aumento dei tassi è assolutamente ingiustificato visto il calo dell’inflazione su base mensile nei primi mesi del 2023” afferma l’ad Roberto La Caria, prevedendo “un effetto particolarmente pesante sia per le aziende italiane, contraddistinte da una scarsa capitalizzazione e un forte ricorso al debito, sia per i consumatori che per tutto il sistema finanziario“.

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