12 Gennaio 2024

Compenso e Consulenza, le 2 Parole-Chiave della Direttiva UE sul Credito ai Consumatori

di Fabio Picciolini, esperto consumerista

La Direttiva sul credito ai consumatori (2023/2225/UE) compie importanti passi avanti rispetto alla precedente del 2008 (48) affrontando quanto non ha funzionato in quella Direttiva e aggiornandola alle innovazioni che il mercato ha proposto in 14 anni.

Ciò non toglie che in alcune norme la Direttiva non sia chiara, tralasci alcuni aspetti bisognosi di normativa e in alcuni casi crei nei lettori una forte confusione. In particolare su due argomenti che riguardano, principalmente, compenso e consulenza. Rimettendo in discussione operatività ormai consolidate, c’è il rischio che aumenti il contenzioso con il cliente. Per superare le incongruenze sarà necessario che il legislatore nazionale – coinvolgendo auspicabilmente tutti gli operatori interessati – dia una risposta precisa, per non ricadere in errori del recente passato, e trovi le soluzioni più idonee per emanare disposizioni chiare, applicabile e incontestabili.

La prima parola è COMPENSO, riportata più volte nel testo, soprattutto con riferimento agli intermediari del credito. Nel testo si trova per la prima volta al considerando 50: “Il creditore e l’intermediario del credito dovrebbero fornire un’indicazione del compenso dovuto dal consumatore”; poi all’85 “…incluse le condizioni in base alle quali un intermediario del credito può ricevere compensi da un consumatore che ne ha richiesto i servizi”; ancora dopo all’articolo 16 “un’indicazione del compenso dovuto dal consumatore per i servizi di consulenza”; mentre all’art. 32 comma 4 “Gli Stati membri provvedono affinché, quando i creditori o gli intermediari del credito forniscono servizi di consulenza, la struttura remunerativa del personale interessato non ne pregiudichi la capacità di agire nel migliore interesse del consumatore e non dipenda dagli obiettivi di vendita”.
Per questo “possono anche vietare le commissioni pagate dal creditore all’intermediario del credito”; e al comma 5 “possono vietare i pagamenti da parte di un consumatore a favore di un creditore o un intermediario del credito prima della conclusione di un contratto di credito, o imporre restrizioni a detti pagamenti”.

Una disciplina contradditoria, che prevede che le “spese applicate da un terzo” non debbano essere prese in considerazione nel calcolo del rimborso non essendo state imposte dal creditore, e non possano pertanto essere modificate unilateralmente da questo, non essendogli state pagate direttamente; inoltre non dipendono dalla durata del contratto, mentre le spese riconosciute a favore di un terzo dovrebbero essere prese in considerazione nel calcolo della riduzione.
L’esclusione dal rimborso deve prevedere, quindi, che il pagamento del compenso da parte del consumatore sia effettuato direttamente al soggetto terzo, l’intermediario; e non, come avviene, dall’istituto finanziatore al proprio agente in attività finanziaria o al mediatore creditizio (ad esempio nel mutuo e nella cessione del quinto). Dovrebbero essere rimborsati anche i costi pienamente esauriti all’atto della sottoscrizione del contratto e derivanti da altro accordo. L’art. 30 cita tra gli obblighi specifici degli intermediari che “stipulino con il consumatore, prima della conclusione del contratto di credito, un accordo relativo all’eventuale compenso” che può non aver alcun riferimento alla conclusione del contratto in quanto relativo ad “attività preparatorie o altre attività amministrative precontrattuali per mettere in contatto il consumatore con il creditore”.

La cosiddetta CCD II riguarda dunque non solo riguarda i compensi per l’attività svolta, ma che si riflette sul rimborso in caso di estinzione anticipata di un prestito. Non si può dimenticare che in Italia vigono due leggi dello Stato (L. 103/2023 e L. 136/2023) che contemplano soluzioni di rimborso diverse.
La prima che non debba essere previsto, oltre che per le imposte, “per i costi sostenuti per la conclusione dei medesimi contratti”, quindi non le spese precontrattuali; e chiarisce che, salvo diversi accordi, il rimborso avviene secondo il “principio del costo ammortizzato”.
La seconda, di conversione del Decreto 104/2023, afferma che “Nel rispetto del diritto dell’Unione europea, come interpretato dalle pronunce della Corte di Giustizia Ue, in caso di estinzioni anticipate… continuano ad applicarsi le disposizioni dell’art. 125-sexies del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti”. Applicando la legge 136/2023, come già evidenziato da alcuni giuristi che richiamano la sentenza Lexitor e l’art. 16 della 48/2008, il rimborso deve contenere “tutti i costi sostenuti per la conclusione dei medesimi contratti” e, salvo diversi accordi, non può essere applicato il “principio del costo ammortizzato”.

La seconda parola chiave è l’offerta di CONSULENZA, e riguarda non solo gli intermediari creditizi ma anche quelli bancari/finanziari. Nel merito la normativa presenta almeno due aspetti problematici: uno relativo alle previsioni della Direttiva, e uno alle norme nazionali.
Nel primo caso sembra esserci contraddizione tra l’art. 16 comma 4 e altri considerando e articoli. Il cons. 50 è esso stesso contradditorio prevedendo la possibilità di “prestare consulenza sotto forma di raccomandazioni personalizzate vale a dire servizi di consulenza…” e “gli Stati membri dovrebbero poter vietare l’uso dei termini stessi o di termini analoghi nei casi in cui i servizi di consulenza siano prestati ai consumatori da creditori o intermediari del credito”; senza dimenticare l’art. 16 in cui “gli Stati membri assicurano che i servizi di consulenza possano essere prestati soltanto da creditori e, se del caso, intermediari”. Sarebbe utile conoscere quale termine alternativo debba essere usato per svolgere lo stesso servizio di consulenza. Per il cons. 63 “in caso di sconfinamento regolare il creditore dovrebbe offrire al consumatore servizi di consulenza” e per il cons. 76 “nonché la fornitura di consulenza nel migliore interesse del consumatore”.

L’articolo 3 è più chiaro nel definire i “«servizi di consulenza»: le raccomandazioni personalizzate fornite a un consumatore in merito a una o più operazioni relative a contratti di credito e che costituiscono un’attività separata rispetto alla concessione del credito e alle attività di intermediazione…”. Netto l’art. 16 comma 1 contemplando che “il creditore e, se del caso, l’intermediario del credito indichino esplicitamente al consumatore se gli sono prestati o possono essergli prestati servizi di consulenza”.
Non è finita: al comma 2 “gli Stati membri dispongono che, prima della prestazione di servizi di consulenza o della conclusione di un contratto per la prestazione di servizi” e al comma 3 “qualora ai consumatori siano prestati servizi”; a fronte queste declaratorie l’art. 16 comma 4 prescrive che “Gli Stati membri possono vietare l’utilizzo dei termini «consulenza» e «consulente» o simili quando i servizi sono commercializzati e prestati ai consumatori dai creditori o, se del caso, dagli intermediari”. È opportuno ripetere, pur pleonastico, quanto riportato all’art. 16: “Gli Stati membri assicurano che i servizi di consulenza possano essere prestati soltanto da creditori e, se del caso, intermediari”. Si tralascia, in quanto le leggi nazionali hanno “elegantemente” glissato su di esso, il tema della consulenza indipendente.

Il secondo caso, nazionale, si sdoppia in due questioni. 1) In Italia è prevista la doppia figura di agente in attività finanziaria e mediatore creditizio. Il primo, oltre a poter proporre un finanziamento ai clienti che si mettono in contatto con lui (è bene ricordare che l’articolo 17 della Direttiva prevede che “gli Stati membri vietano ogni concessione di credito ai consumatori senza previa richiesta ed esplicito consenso di questi”), può proporre e sottoscrivere un contratto su mandato; il mediatore invece è un soggetto terzo che “mette in relazione” creditore e debitore senza alcun altro potere. 2) Il D.Lgs. 141/2010, nell’attuale stesura, prevede espressamente lo svolgimento dell’attività del mediazione “anche attraverso attività di consulenza” (Rif. Art. 128 sexies TUB). Se può essere, relativamente, facile novellare questo articolo nell’ambito della complessiva riscrittura del “141”, senza un chiarimento complessivo su possibilità e modalità di fornire consulenza rispettando le previsioni della Direttiva, si possono rischiare interpretazioni non consone, correlate al precedente argomento del compenso.
Quanto fin qui riportato è solo una “opinione” personale, quindi con un margine di errore, ma considerato quanti sono i soggetti coinvolti è bene evitare il rischio di una matassa di norme che il legislatore dovrebbe provvedere a districare: sarebbe opportuno che governo e Autorità di settore agissero per un chiarimento a livello europeo, e interpellino le rappresentanze delle parti in causa, per conoscere il loro pensiero prima di emanare quello che sarà il nuovo “141”.

Federico Luchetti (OAM): “Direttiva UE sul Credito al Consumo: Occasione per Riformare il Mercato”

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