di Giuseppe Gaetano, editor in chief
In scia alla Fed, la Bce ha lasciato per la seconda volta consecutiva invariato al 4,50% il tasso di rifinanziamento e al 4,25% quello sui depositi.
I mercati si aspettano un taglio, anche di un buon punto percentuale, già entro il primo semestre 2024 visto che l’inflazione è piombata al 2,4% e addirittura allo 0,8% in Italia, ma “tornerà probabilmente a registrare un temporaneo incremento nel breve periodo” avverte nella nota il board di Francoforte, aggiornando le sue proiezioni: al 2,7% nel 2024 (dal 3,2 della precedente stima) mentre restano al 2,1% nel 2025 e all’1,9% nel 2026. Il dato “core” resta elevato e nel recente crollo non mancano componenti momentanee, per questo la sensazione è che i livelli non caleranno così bruscamente come sono saliti. La prossima riunione del consiglio direttivo è in agenda il 25 gennaio 2024: difficile che nel prossimo mese e mezzo lo scenario muti in maniera radicale ed è probabile che per la sforbiciata toccherà attendere quella ancora dopo, il 7 marzo.
Per ora “non se ne parla nemmeno, siamo data dependent e non time dependent: non dobbiamo assolutamente abbassare la guardia” ha ribadito per l’ennesima volta la presidente Christine Lagarde in conferenza stampa. La comunicazione odierna, nell’ultimo vertice del 2023, segue di 48 ore il bollettino Bankitalia di ottobre sul conto economico della stretta monetaria. Cala lievemente solo il Taeg sulle nuove erogazioni di credito al consumo (al 10,46% dal 10,52 di settembre), per il resto Via Nazionale prosegue a certificare le simmetriche ascese: da una parte, dei tassi su nuovi mutui (al 4,72% dal 4,65 di settembre) e prestiti alle imprese (al 5,46% dal 5,35); dall’altra, degli accessi al credito dei privati (-3,2% annuo da -3,6), sia lato famiglie (-1,1% da -0,9) che aziende (-5,5% da -6,7). Se i crediti deteriorati sono sotto controllo nei bilanci delle banche è perché molti clienti, l’abbiamo detto, sono ricorsi a fondi propri per evitare di appesantire i propri bilanci di troppe uscite. Le sofferenze dell’intero sistema ammontano attualmente a meno di 32 miliardi (di cui circa 2/3 afferenti alle imprese), in calo rispetto ai 34,8 dell’anno scorso.
In un contesto in cui nel complesso il credito al consumo regge, i rincari del costo del denaro sembrano pesare soprattutto sulle tasche del milione di mutuatari a tasso variabile, specie se gli interessi resteranno appunto alti ancora a lungo: secondo Facile.it nell’ultimo anno quasi 200mila famiglie non avrebbero rimborsato una o più rate, cresciute fino al 65% da gennaio 2022 per un rincaro medio di 3.100 euro l’anno. Chi afferma di aver rinegoziato le condizioni con lo stesso istituto (21%), chi ha scelto la surroga (7%), chi ha estinto parte del finanziamento (6,4%), pochi ne hanno allungato la durata (4%); circa uno su 4, tuttavia, non è riuscito a rinegoziare o surrogare. Per questi, non sembra restare altra strada che affidarsi a un bravo consulente.
Per chi invece deve ancora comprare l’abitazione principale, una mano è arrivata giusto ieri dal governo con l’incremento di 282 milioni delle risorse del Fondo Consap prima casa e l’estensione nel 2024 della garanzia pubblica – sempre fino a 250mila euro – ai nuclei familiari numerosi, con almeno 3 figli minori di 21 anni a carico e reddito Isee non oltre 40mila euro annui; che salgono a 45mila con 4 figli e a 50 mila con 5. Parallelamente, se il rapporto quota finanziata/valore dell’immobile supera l’80%, la copertura passa dal 50 all’80, 85 fino a un massimo del 90% della quota capitale. Il tutto, mantenendo la protezione del plafond anche in caso di trasferimento del mutuo ad altra banca. finanziamento presso una banca differente.
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