di Fabio Picciolini, esperto consumerista
I mutui, ipotecari e fondiari, sono da sempre argomento di dibattito per le condizioni applicate, l’attenzione alla valutazione del merito creditizio, i tempi delle istruttorie, la riduzione del credito concesso, le difficoltà di pagamento per quelli già accesi.
Tutti aspetti importanti, che si tengono tra loro. Esistono però argomenti altrettanto urgenti e attuali a cui non è data la giusta attenzione mediatica, che sembrano riservati solo agli addetti ai lavori – come il sistema di ammortamento alla francese o la manipolazione dell’Euribor – ma che possono creare più danni dei tanti altri problemi citati, con contenziosi e interpretazioni giuridiche discutibili e difformi.
Si proverà a dare qualche informazione più completa su entrambe le problematiche in due lavori successivi. Intanto, come prima sintesi, si può affermare che per i mutui a tasso fisso – ma anche per il credito al consumo – non riportare espressamente nel contratto la tipologia del sistema di ammortamento adottato, non rende nulla la clausola né lo stesso contratto.
La sentenza della Sezioni Unite della Corte di Cassazione n.15130 del 29 maggio 2024, scavalcando anche pronunciamenti diversi di singole Sezioni, ha affermato che “in tema di mutuo bancario a tasso fisso, con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento «alla francese» di tipo standardizzato tradizionale, non è causa di nullità parziale del contratto la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione «composto» degli interessi debitori, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra istituti di credito e clienti”.
Un ulteriore importante principio, spesso dimenticato, prevede che “l’indagine sulla determinatezza o indeterminatezza dell’oggetto non va compiuta con riferimento alla convenienza del contratto e delle sue clausole, che è profilo non rilevante ai fini del giudizio sulla validità”.
I giudici hanno inoltre confermato, per l’ennesima volta, che nel piano di ammortamento alla francese non sono presenti effetti anatocistici affermando che “deve escludersi che la quota di interessi in ciascuna rata sia il risultato di un calcolo che li determini sugli interessi relativi al periodo precedente, o che generi a sua volta la produzione di interessi nel periodo successivo”.
La Corte non si è pronunciata sui mutui a tasso variabile, in quanto non inseriti negli atti di remissione.
Le sentenze delle S.U. si riferiscono al singolo caso, ma offrono una posizione utile per garantire il rispetto uniforme nell’interpretazione delle leggi e l’unità del diritto oggettivo nazionale. In sostanza, la pronuncia in questione afferma che il contratto di finanziamento non viola le norme sulla trasparenza e che le informazioni in esso contenute sono sufficienti per consentire al richiedente una chiara conoscenza del prodotto che sottoscrive; in cui devono essere riportate in maniera chiara e inequivocabile le prescritte informazioni su importo erogato, durata del prestito, periodicità del rimborso e tasso di interesse applicato.
I due principi affermati avrebbero dovuto smontare le contestazioni sulla capitalizzazione composta e sull’anatocismo, ma non è stato così. In linea generale – pur in presenza di varie eccezioni che non mancano mai in Italia – i Tribunali di merito si sono adeguati al dispositivo rigettando le richieste di nullità, tuttavia sono presenti molte interpretazioni contrarie a quella delle S.U. È importante, quindi, affrontare queste contestazioni perché stanno creando un clima di attesa di un futuro capovolgimento delle posizioni espresse.
Il dissenso si basa sull’impossibilità per il debitore di avere chiare le conseguenze economiche derivanti dall’applicazione del sistema di ammortamento alla francese per la mancata indicazione nel contratto del regime finanziario applicato. Secondo tali interpretazioni, l’esistenza della capitalizzazione composta è insita nella stessa formula del sistema, per cui senza una specifica indicazione dovrebbe essere applicata “ab origine” la capitalizzazione semplice, meno onerosa, oppure annullata la clausola relativa ai tassi di interesse.
Altre parti, minoritarie, sostengono la nullità totale del contratto a causa di un vizio di consenso, dovuto non solo alla mancata conoscenza della tipologia di capitalizzazione, ma alla stessa validità della formula per il calcolo del Taeg previsto dalla norme comunitarie.
Dispute che, pur risolte dalla Suprema Corte, creano incertezza per tutte le parti coinvolte e fomentano le speranze dei mutuatari in un eventuale revirement, che consenta di corrispondere interessi più bassi di quelli previsti applicando quanto contemplato dal TUB (art.117.7) che prevede di conteggiarli al tasso dei BOT emessi negli ultimi 12 mesi.
In conclusione, è doveroso mettere fine a contenziosi e interpretazioni che si protraggono per anni e sembrano non finire mai. Un intervento legislativo, o un ricorso alla Corte di Giustizia europea appare ormai improcrastinabile per dare certezza ai contratti, superare i diversi giudizi di merito dei tribunali ed evitare “antipatici” opportunismi da parte di chi volesse approfittare dell’incertezza regnante.
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