di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Come ampiamente anticipato dai media in questi giorni, la Bce ha lasciato invariato al 4,25% il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali, rinviando l’ipotetico taglio di un altro 0,25% alla prossima riunione di giovedì 12 settembre.
Le prospettive a medio termine non sono cambiate dal precedente vertice: il Consiglio direttivo comunica che “la maggior parte delle misure dell’inflazione di fondo sono rimaste stabili o diminuite leggermente a giugno” e che “in linea con le aspettative, l’impatto inflazionistico dell’elevata crescita salariale è stato assorbito dai profitti. La politica monetaria – prosegue la nota – mantiene restrittive le condizioni di finanziamento. Al tempo stesso le pressioni interne sui prezzi restano alte, l’inflazione dei servizi è elevata ed è probabile che quella complessiva rimanga al di sopra dell’obiettivo del 2% fino a gran parte del prossimo anno“, confermando quindi l’usuale approccio step by step.
Le sforbiciate al costo del denaro, si legge tra le righe, ci saranno ma – è ormai chiaro a ogni osservatore – non così rapide e profonde come il ciclo di rialzi. Considerando l’inflazione tornata a sussultare, le tensioni salariali e il Board diviso, gli analisti si aspettano un secondo break nella riunione del 17 ottobre e un altro -0,25% il 12 dicembre: dunque – in base alle condizioni attuali – entro il 2025 il costo del denaro sarà spuntato di massimo 75 centesimi, inclusa la sforbiciata già praticata a giugno.
La decisone di Francoforte è stata preceduta, l’altrieri, dalla lending survey sul secondo trimestre 2024 da cui è emerso un piccolo ulteriore inasprimento netto degli standard creditizi per credito al consumo e finanziamenti alle imprese (penalizzate dalla scarsa tolleranza al rischio delle banche europee) e un parallelo moderato allentamento di linee guida interne e criteri di approvazione sui mutui immobiliari, grazie soprattutto alla maggior concorrenza tra player. Uno scenario non dissimile da quello evidenziato nel nostro Paese dagli ultimi bollettini mensili di Bankitalia e ABI: il sondaggio BCE sottolinea, infatti, anche il perdurante calo della domanda delle aziende ma – per la prima volta dal 2022 – una prima generale risalita delle richieste delle famiglie per ogni tipologia di prodotto, sostenuta da “miglioramento delle prospettive del mercato immobiliare, fiducia dei consumatori e spesa per beni durevoli” si legge nel report. In particolare, l’accesso ai finanziamenti al dettaglio è rimasto sostanzialmente invariato ad eccezione di quelli a breve termine, in cui è invece ulteriormente peggiorato.
Per il terzo trimestre gli istituti prevedono una ennesima lieve stretta solo per i prestiti alle aziende, business senza dubbio più sofferente rispetto alle famiglie, che al contrario aumenteranno la domanda in tutti i segmenti nonostante un inasprirsi delle condizioni di concessione indipendente dal rischio di credito percepito dal comparto nei portafogli, che da inizio anno ha avuto solo un leggero impatto.