“Al reddito prodotto dalle banche si sommano varie e maggiori imposte rispetto alle imprese degli altri settori economici“.
L’ABI mantiene la sua linea e non commenta direttamente le voci circolate negli ultimi giorni, peraltro già smentite dal governo, su una possibile ripresa dell’accantonata tassa sugli extraprofitti del comparto. Si vede che agosto, forse in assenza di notizie economiche più rilevanti, stimola il rispolvero di polemiche politiche che credevamo a torto sopite: era infatti proprio l’agosto del 2023 quando l’imposta annunciata, e rimasta sulla carta, suscitò un polverone attirandosi accuse di incostituzionalità e anacronismo perfino dai consumeristi e spingendo l’esecutivo Meloni a una serie di modifiche al testo originale fino al dietrofront.
Ebbene – per la prima volta da quando sono spuntati i rumors – l’associazione bancaria italiana interviene sul tema per smentire, in particolare, un rapporto diffuso in questi giorni da Unimpresa secondo cui “nel 2023 le banche italiane hanno realizzato complessivamente 40,6 miliardi di euro di utili, pagando 8,1 miliardi di imposte: dunque il tax rate, cioè il rapporto tra tasse versate e profitti, è stato pari al 20,1%“.
“Un risparmiatore che investe in azioni bancarie subisce una tassazione di oltre il 50%” ribatte oggi il vice direttore generale vicario dell’ABI Gianfranco Torriero elencando, in una nota inviata ai media, le diverse imposte che in realtà gravano sugli istituti di credito: “L’Ires (24%), l’addizionale Ires per le banche (3,50%), l’Irap (5,45%, che include rispetto all’aliquota ordinaria una ulteriore maggiore per le banche) e la cedolare secca sui dividendi (26%). Per le società non finanziare tale tassazione è sempre elevata, ma di 4 punti percentuali inferiore” conclude Torriero.
Consob: “Cartolarizzazioni più facili per le Banche italiane”