Nonostante i lievi aumenti certificati anche dagli organi istituzionali, per il “Market Watch Npl 2023-2025” di Banca Ifis a fine 2023 il tasso di deterioramento del credito delle banche italiane dovrebbe attestarsi all’1,2%: un livello inferiore ai minimi del periodo precedente alla crisi dei mutui subprime.
Negli ultimi 8 anni, l’industria italiana del credito deteriorato ha contribuito a generare 55 miliardi di euro di riduzione dello stock Npe, portandolo dai 361 miliardi di inizio 2015 ai 306 di fine 2022: se le incerte condizioni macroeconomiche proseguissero, potrebbero determinarne al massimo un moderato incremento portandolo a 311 mld nel 2023, 317 nel 2024 e 321 nel 2025. Nello stesso periodo è stato favorito il processo di de-risking, con 313 mld di Npl e 59 di UtP transati di cui ben 42 ceduti solo l’anno scorso (altri 32 si prevedono quest’anno, 84 a tutto il 2025), sebbene già nel 2021 fosse stato raggiunto il target EBA del 5%.
Queste transazioni saranno sostenute prevalentemente dal mercato secondario, che arriverà a gestire metà dell’intero transato e sarà guidato da: sviluppo delle piattaforme di vendita; attività di nuovi operatori e cessioni da parte di quelli storicamente acquisitivi; aumento dei portafogli misti e unsecured in conseguenza dell’ipotizzata cessione di quote di portafogli assistiti da GACS, quindi cartolarizzazioni con garanzie pubbliche, che riscuotono l’interesse degli investitori. Le transazioni sul primario saranno guidate, invece, dalla prosecuzione del programma di de-risking delle principali banche e dai flussi di deteriorato del triennio.
In sintesi, il totale dei crediti deteriorati nei bilanci bancari è passato da 341 a 58 mld nel 2022, ai 56 previsti a fine anno. Un percorso che – secondo il report presentato a “Step Up”, 12esima edizione del Npl Meeting di Cernobbio – non trova eguali in Europa: sempre dal 2015, l’Npe ratio è sceso dal 17 al 3% stimato a fine 2023. Si riallinea il livello di rischiosità tra aree geografiche e si assottiglia anche il gap nel tasso di deterioramento tra Nord e Sud della penisola, ridottosi dal 6,4 al 2,2%. Eppure, per i ratios predittivi, gli istituti italiani presentano un rischio prospettico superiore a quello degli europei: i crediti classificati in stage 2 rappresentano l’11,3% mentre quelli forebone performing l’1,41.
Certo, la mancata correzione della politica monetaria Bce in relazione al rallentamento economico e le mai sopite tensioni geopolitiche potrebbero generare nuovi flussi: “Nessun allarme ma un invito alla prudenza” dall’ad di Banca Ifis, Frederik Geertman. Covid, crisi energetica, guerra in Ucraina, tassi e inflazione: “La nostra economia negli ultimi 3-4 anni ha subito un susseguirsi di shock e, in realtà, ha reagito molto bene sia in termini di Pil che di rischi nei bilanci bancari“. Anche grazie al tanto credito erogato con garanzia statale nel biennio pandemico, che si sta cercando di rilanciare adesso alla luce delle nuove criticità.
In merito alle proposte avanzate dal governo sul mercato Npl “è davvero presto per commentare, non abbiamo testi stabili in questo momento“. Attualmente l’istituto sta ancora completando l’acquisto della società Revalea dal gruppo Mediobanca, che ha 6,8 miliardi di Gross Book Value: “Compriamo portafogli anche misti e poi vendiamo i pezzi che ci riteniamo un po’ meno bravi a gestire, focalizzandoci su small-ticket unsecured“.
Ma, lato imprese, c’è anche il cambiamento climatico a pesare sull’insolvenza creditizia. La recente pubblicazione di Bankitalia “L’impatto di shock energetici e climatici sul rischio di credito” ravvisa che gli effetti di eventi meteo estremi possono diffondersi facilmente dalle assicurazioni al settore finanziario, ad esempio a causa dell’interruzione dell’attività delle famiglie o della riduzione della produttività delle aziende, il che può rendere più difficoltoso il rimborso dei prestiti. In realtà è risultato che l’introduzione di una carbon tax avrebbe, in base all’importo, effetti mediamente contenuti sul rischio di credito in generale e lievemente maggiori per i settori dell’agricoltura e dei servizi, a prescindere dalla dimensione aziendale. Il momento, però, non sembra essere quello più propizio impattando comunque su una situazione già fragile dal punto di vista della liquidità.