di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Rallentamento dell’economia mondiale e inasprimento del costo del denaro hanno frenato la richiesta di liquidi delle imprese italiane, mentre bassa remunerazione dei depositi e tassi passivi oltre il 4% hanno reso più conveniente finanziarsi con risorse proprie: nell’ultimo anno, infatti, i loro depositi hanno segnato -4,3%, pari a 21,5 miliardi di euro.
A maggio 2023 i prestiti bancari alle imprese italiane sono calati del 5% annuo, pari a -33,3 mld: tra i 20 Paesi dell’Eurozona solo Cipro ha registrato un risultato peggiore del nostro. A parte il biennio Covid, il trend è calante ormai dal 2011. È firmata dalla Cgia di Mestre l’ultima delle molte analisi che nelle ultime settimane hanno certificato lo stato di sofferenza del credito alle imprese, specie per le più piccole: quelle con meno di 20 dipendenti, infatti, hanno subito la riduzione degli impieghi vivi del 7,7% ( -9,5 mld); quelle con almeno 20, invece, il taglio è stato del 3,8%. Rispetto ai precedenti report, l’associazione mestrina – che individua nel manifatturiero il settore da cui proviene gran parte della domanda di credito totale delle imprese – entra nel dettaglio territoriale della chiusura dei rubinetti. La provincia più stressata dal “credit crunch” è Trieste: -15% degli impieghi alle aziende, al netto delle sofferenze, corrispondenti a -673,8 milioni; seguono Aosta (-14,6%), Biella (-12,7%), Savona (-12,2%). In cifre assolute la contrazione maggiore c’è stata a Roma, -5,1 miliardi. Se non si tenesse conto dei numeri di partenza, lo scenario premierebbe dunque il Sud, sul cui mercato del credito PLTV ha realizzato un Focus a puntate.
Il punto è che se i rapidi e continui rialzi dei tassi fanno bene per ora ai bilanci delle banche, nel frattempo per Confindustria e altri osservatori hanno già contribuito e contribuiranno a frenare ulteriormente Pil, produzione, export, investimenti e – non ultimo – lo stesso business dei prestiti. Costi, ammontare, scadenze, garanzie: tutto contribuisce a irrigidire le condizioni di offerta e quindi a ridurre la domanda. Tuttavia al momento, incrociando dati Istat e Bankitalia, appena il 6% delle imprese rinuncerebbe a un prestito poiché eccessivamente oneroso: +4,81% annuo il costo a maggio, per un -2,9% di stock bancario. È pur vero che un certo calo sarebbe stato comunque fisiologico, anche con strette monetarie meno repentine, viste le dimensioni assunte negli ultimi anni dallo stock dei finanziamenti grazie al costo zero del denaro preso a prestito e alle agevolazioni governative anti Covid. “Sui tassi c’è un punto in cui i costi sociali ed economici superano i benefici in termini di inflazione, e tutto si gioca sul trovare il giusto punto di equilibrio. Ma i numeri complessivi del sistema ci parlano di un raffreddamento, il credit crunch è un rischio concreto soprattutto per le imprese meno grandi” ha confermato al Sole24Ore Corrado Passera, in occasione della presentazione della prima semestrale 2023 di Illimity.
Cosa si muove dunque all’orizzonte, per risollevare la situazione? Tra le diverse iniziative dell’ultimo periodo si segnalano l’accordo interbancario sul Fondo 394 gestito da Simest e il nuovo piano industriale Sace “Insieme2025”, che a 6 mesi dal lancio ha già raggiunto 40mila Pmi, non solo con la sua offerta assicurativo-finanziaria. Di fatto, tutto il mercato è ormai in mano alla garanzia pubblica. Una nuova mossa potrebbe essere quella di far rientrare le Mid Cap – indebitate per circa 20 milioni a breve termine e 30 a medio/lungo – tra i soggetti ammissibili alla garanzia del Fondo Pmi, pur potendo già accedere ai diversi sistemi di garanzie Sace. L’altra prossima mossa riguarderebbe proprio una di queste, SupportItalia: per calmierare l’importo mensile della rata, il Mef vorrebbe consentire di allungare la scadenza di prestito e garanzia fino a un massimo di 8 anni, obbligatoriamente alla richiesta del cliente. Una misura che, in buona sostanza, ricalca la formula dello spalma-mutui per famiglie senza ritardi nei pagamenti oltre 90 giorni: per questa però, riguardando garanzie statali, sarà necessario un decreto legge. Il fatto che, per allungarne la durata, il credito debba essere considerato in bonis porta tuttavia a un paradosso nel mercato, di cui la principale responsabile è la regola dell’Eba che prevede la riclassificazione a deteriorato se la sua ristrutturazione costa all’istituto oltre l’1% del finanziamento in essere.
In base ai dati Mcc quasi il 40% dei prestiti concessi dal Fondo di garanzia rientrano infatti nella fascia 3, ovvero categorizzati a probabilità di default media in un range da 1 a 5. Un altro 40% abbondante è invece collocato in fascia 1 e 2, riguardante cioè imprese a probabilità di default scarsissima. Le banche ricorrono massicciamente alla garanzia anche in questi casi, che sulla carta non ne avrebbero bisogno, e il fenomeno è indice di una stortura in meccanismi che – al contrario – vorrebbero agevolare l’accesso al credito alle realtà più a rischio. Insomma, prestiti super agevolati a chi forse potrebbe anche fare a meno di tante agevolazioni. Sulla stessa falsariga s’inserisce la recente istituzione da parte di Adepp, CDP e Mediocredito centrale di sezioni ad hoc del Fondo per professionisti individuali e associati – cui hanno aderito finora 7 Casse versandovi in tutto 5,4 milioni – con l’obiettivo di innalzare le attuali coperture dal 70 fino al 90% per la riassicurazione (sui finanziamenti concessi da Confidi) e dal 60 fino all’80% per la garanzia diretta (sui finanziamenti bancari). Istituti e Confidi diminuiranno così il rischio di mettersi in pancia crediti deteriorati, mentre i clienti godranno di importi più alti e di commissioni e interessi minori. Per accedervi, però, non devono avere sofferenze a sistema ma essere in regola con i contributi previdenziali e posizionarsi in fascia 1 e 2 del suddetto modello di rating creditizio del Fondo. Assenza di morosità ed elevato merito creditizio sono accertati dall’intermediario in fase di istruttoria.