di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Il taglio dal 60 al 50% delle coperture sui prestiti per liquidità, che costituiscono oltre il 70% del totale, permetterebbe al Fondo di garanzia per le Pmi di andare avanti con risorse proprie senza attingerne di nuove dalle casse statali.
Il risparmio non è poco contando che nel 2024 il Fondo ha concesso circa 31 miliardi di euro di garanzie su 45 di finanziamenti, suddivisi in 165mila prestiti a 118mila realtà. Di sicuro la sforbiciata non giova però alla ripresa di una linea di business, quello corporate, che sta soffrendo molto più del retail: le minori erogazioni rischiano di avere ricadute negative su Pil e occupazione, rianimando il classico serpente che si morde la coda.
L’aumento dei costi operativi disincentiverà a cascata il business di tutti gli operatori del segmento, inclusi fintech e confidi, specializzati in finanziamenti garantiti, impattando negativamente sull’economia italiana senza risollevare granché i conti dello Stato.
Ma il maggior onere ricade anche sulle banche, tenute a versare un premio aggiuntivo rispetto a quello già erogato in base alle dimensioni dell’azienda cliente (solo per le micro non c’è commissione).
I nuovi criteri di questa tassa addizionale – commisurata al rapporto tra l’importo garantito sui finanziamenti e il totale dei prestiti concessi alle Pmi – sono rinviati a uno dei tanti decreti dormienti sulle scrivanie di Mef e Mimit; e il rischio è che a pagare saranno ancora le imprese, giacché è probabile che gli istituti si rifacciano della gabella sulle condizioni applicate al credito.
Stesso discorso per i cosiddetti “extraprofitti”: davvero il governo s’illude che l’imposta non si ripercuoterà sugli standard creditizi, inclusi quelli alle famiglie? Ammesso che sia possibile, vietare la contromossa degli intermediari innescherebbe un braccio di ferro con tutto il comparto finanziario che non conviene a nessuno.
La coperta pubblica riguarda attualmente oltre il 30% dei finanziamenti complessivi di banche specialiste e generaliste, e il 60% di quelli erogati alle piccole imprese, in cui è spesso labile la distinzione tra finalità di liquidità e investimento. Alcuni osservatori suggeriscono di ampliare a leasing e nolo le voci di spesa contemplabili appunto tra le finalità di investimento del Fondo, almeno per le aziende meno strutturate, così da non mortificare eccessivamente il mercato.