di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Da un lato il calo della domanda di credito delle aziende in quasi tutti i settori delle macro aree del Paese, a causa della politica monetaria restrittiva della Bce e di minori esigenze di sostegno agli investimenti e copertura del capitale; dall’altro lato politiche di offerta irrigidite, per la maggior percezione del rischio da parte degli intermediari e l’incremento dei costi della provvista.
La contrazione dei prestiti in Italia è proseguita anche sul finale del 2023: secondo gli ultimi dati Bankitalia, a dicembre i prestiti complessivi al settore privato sono diminuiti del 2,8% annuo; quelli alle famiglie dell’1,3% e quelli alle imprese del 3,7%. Tutte percentuali in moderazione, in verità, rispetto al dato mensile precedente. Sarà perché anche i diversi tassi di interesse sono calati contemporaneamente, sebbene appena di una decina di decimali: sui nuovi mutui per acquistare casa si sono smorzati al 4,82%, sulle erogazioni di credito al consumo al 10,16% e sui prestiti alle società non finanziarie al 5,46%. Anche secondo la congiuntura flash diffusa da Confindustria prima della fine dell’anno, la caduta dei prestiti aveva iniziato ad affievolirsi nell’ultimo trimestre, con l’inasprimento nella loro concessione “in parte attenuato dalla riduzione dei margini applicati dalle banche – ha affermato ABI -, specie sui prestiti meno rischiosi, come conseguenza di una crescente pressione concorrenziale”. Tuttavia la stessa Bankitalia, nel precedente bollettino, notava – insieme ai migliorati livelli di redditività e patrimonializzazione degli istituti e al basso tasso di deterioramento – che il cosiddetto credit crunch, “coerentemente con l’orientamento restrittivo della politica monetaria” imposto dalla Bce, è quanto meno co-responsabile della crescita economica “pressoché nulla”, del ristagno dei consumi, del restringimento degli investimenti e anche di una flessione generale della raccolta bancaria. E il rallentamento del Pil, naturalmente, contribuisce a deprimere la domanda.
Dunque il trend che ha accompagnato il mercato dei prestiti alle imprese italiane per tutto il 2023 proseguirà certamente in questa prima parte del 2024. Il dato negativo dell’erogato risente infatti anche di minor fabbisogno per la spesa in investimenti fissi, maggior ricorso all’autofinanziamento e clima generale di sfiducia, dettato in larga parte dalle tensioni geopolitiche internazionali: condizioni che a differenza del costo del denaro – tuttora alto ma prossimo a scendere, in virtù delle suddette criticità che ha innescato – sembrano destinate a perdurare ancora a lungo.
Se le istituzioni dettano le linee generali dell’andamento del business, le associazioni entrano nel dettaglio dei numeri. Nel 2023 Unimpresa – al netto delle cartolarizzazioni – registra una stretta creditizia da 55 miliardi di euro (-4% annuo) di cui 47 ascrivibili alle imprese (-7%). Il taglio ha interessato ogni genere di finanziamento – a breve, medio e lungo termine – ma se la ricerca avesse calcolato anche gli impieghi deteriorati ceduti dalle banche a società veicolo o specializzate, e non solo gli attivi, le cifre sarebbero ben diverse. Per il centro studi la clientela faticherebbe a onorare le scadenze delle rate e nel complesso, contando le famiglie, le sofferenze nette sarebbero cresciute in 12 mesi di quasi il 10%, da 16 a 18 mld. Tuttavia, va detto che rispetto al livello massimo di 88,8 mld del novembre 2015, il crollo è decisamente vistoso: da allora l’incidenza dei deteriorati sul totale dei prestiti è piombata dal 16% al 1,4%.
Includendo cartolarizzazioni, cessioni in bonis, riclassificazioni e rettifiche di valore il calo complessivo dell’erogato – rilevato dal Market Watch Npl di Banca Ifis per il Sole24Ore – ammonta a quasi la metà (-2,4%), ma il confronto annuo si ferma al primo semestre 2023. Il fenomeno interessante riscontrato da quest’altra ricerca è l’andamento controcorrente del Sud rispetto al resto della penisola. Diamo due possibili interpretazioni di questa doppia velocità: il fatto che il Mezzogiorno avesse meno da “perdere”, vista la forbice di volumi che lo separa tuttora dal Nord; e i tassi inferiori applicati al credito, almeno per le famiglie Sono state queste infatti a trainarlo, incrementando il dato complessivo addirittura di uno 0,3% fino a giugno.
È quindi il mercato delle imprese a soffrire veramente lungo tutto lo Stivale, trascinando ovunque in negativo una media altrimenti stabile nei 12 mesi; anche in questo segmento, comunque, le regioni meridionali si distinguono in meglio registrando solo un -0,6% contro il -5,1 del Centro Italia.
Visto che le banche hanno le mani legate dai lacci della vigilanza e sono tenute ad anticipare precauzionalmente eventuali turbolenze, cosa fa il governo per aiutare i loro clienti, cittadini e imprenditori? Il nuovo Fondo di Garanzia Pmi operativo dal primo gennaio abbandona i rating di qualità dell’azienda per affidare l’agevolazione in base allo scopo del finanziamento, privilegiando gli investimenti alla liquidità nelle percentuali di copertura. Com’è noto il limite per ciascun beneficiario è di 40mila euro, ma può arrivare a 80mila per richieste di riassicurazione presentate da Confidi autorizzati. Si ravvisano però un paio di criticità. E’ vero che adesso le micro imprese saranno favorite dall’abolizione delle commissioni, quindi dalla completa gratuità della pratica istruttoria, tuttavia nel 2023 le loro domande sono state oltre 40mila in meno rispetto al 2022, per un calo del finanziato di quasi 5 mld. E le cosiddette “small mid cap” – ovvero realtà con 250/499 dipendenti – si candidano a loro dirette competitor nell’accesso alle disponibilità del Fondo, pur potendo già contare sulle garanzie Sace: secondo le stime Kpmg, nell’ultimo anno tramite Supportitalia ne sono state rilasciate su circa 30 mld di prestiti (2 a Pmi e 28 a mid cap) corrispondenti a 4mila operazioni (il 35% relative a Pmi, il resto a mid cap). Un secondo pericolo riguarda il ritorno dell’esclusione delle aziende in 5° fascia di rischio, quelle cioè che avrebbero più bisogno di copertura statale per accedere al credito: per il sottosegretario del Mimit Massimo Bitonci – che ha lavorato alla riforma valida un anno, inserita nel decreto anticipi – si tratta solo “di qualche migliaio, che potranno ricorrere ai Confidi con le operazioni a importo ridotto”.
Un’idea per contrastare l’irrigidimento creditizio per le aziende l’ha lanciata, all’Assiom Forex 2024, la preside della facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative dell’università Cattolica Elena Beccalli: l’unificazione delle Borse europee, che darebbe impulso alla raccolta di risorse tramite canali alternativi alle banche. Sarà fattibile?
Il Valore della Consulenza del Credito nell’ambito del Rinnovo del D.Lgs 141/2010 a Leadership Forum