di Giuseppe Gaetano, editor in chief
I falchi della BCE sono consci che “i passati incrementi dei tassi di interesse si stanno trasmettendo con forza alle condizioni di finanziamento e stanno gradualmente influenzando tutta l’economia”, che “i costi di indebitamento sono aumentati bruscamente e la crescita dei prestiti diminuisce“.
Ma le condizioni di credito più restrittive “sono una ragione fondamentale per la quale l’inflazione dovrebbe ridursi, poiché ci si attende che queste frenino in misura crescente la domanda“. E a luglio, stop ai reinvestimenti nell’ambito del Quantitative easing e altro 0,25% di rialzo. “Siamo in un mondo che non tornerà più a tassi zero – ha commentato ieri a caldo l’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina -. In un mondo normale i tassi sono tra il 2 e il 3%, è una patologia il fatto che non siano a questi livelli” e questo rallenta il Pil, rivisto al ribasso. Si capirà solo in autunno se i tassi avranno raggiunto davvero il picco, intanto non sono solo i mutui immobiliari a risentire delle ripetute strette monetarie della Banca centrale europea ma anche le altre tipologie di prestito. Per l’osservatorio congiunto di Facile.it e Prestiti.it a maggio l’importo medio di un prestito personale è stato di 10.474 euro (-4% annuo), mentre online il Tan è arrivato a 8,24% (+31%) dallo 0,67% d’inizio 2022. Per il 32% del campione di oltre 35mila richiedenti la prima finalità è la liquidità, seguono acquisto di auto usate (16%) e consolidamento debiti (15%): strategia, quest’ultima, in ascesa e consistente nell’accorpare “diversi prestiti sotto un unico finanziamento, semplificandone la gestione e, in alcuni casi, riducendo i costi complessivi” spiegano i ricercatori. Secondo il recente report di Bankitalia, il Taeg sui nuovi prestiti al consumo è salito al 10,29% ad aprile.
Il mancato pari aumento dei tassi passivi (gli interessi bancari sui depositi della clientela hanno sfiorato appena lo 0,4%), potrebbe aver contribuito a una piccola parte del saldo negativo dei conti correnti, calato in soli 3 mesi – da dicembre 2022 a marzo 2023 – di oltre 50 miliardi, a 2.015 mld. La sofferenza del business del credito è un trend in corsa tuttavia le condizioni di accesso al finanziamento non sono cambiate da prima della tempesta di tassi, inflazione e crisi energetica: è questa ad aver reso ora molto più stringenti gli identici criteri. Posti tra l’altro dalle autorità di vigilanza, non dai singoli istituti, a tutela degli stessi consumatori, per evitare che s’indebitino oltre le loro reali possibilità. Dall’altra parte, ammontano a quasi 15 miliardi i maggiori interessi annui netti che le banche hanno introitato dai clienti da luglio 2022, quand’è finita la serie di tassi negativi, ad aprile 2023: la gran parte pesano sui bilanci delle imprese e solo poco più di un paio sui portafogli delle famiglie. Passando appunto alle imprese, già prima del ritocco al 4,52% riegistrato ancora da Bankitalia ad aprile, l’ultima fotografia scattata al mercato dal centro studi Confindustria, a un mese dalle seconde trimestrali 2023, vedeva il tasso di interesse balzare a marzo al 4,33%: oltre il triplo del livello di fine 2021 e le contemporanee rilevazioni anche da parte dell’ABI. Il credito a condizioni più onerose fa sì che lo stock di finanziamenti alle aziende si contragga sempre più.
Un’inchiesta globale di Taktile – piattaforma per l’automatizzazione delle decisioni – rileva che la difficile congiuntura macroeconomica sta costringendo i professionisti del prestito ad adottare innovative strategie per perseguire il doppio obiettivo di crescita e redditività: il 67% dei creditori afferma di aver risentito degli aumenti dei costi di capitale e il 57% programma investimenti per aggiungere nuove fonti di dati. La domanda è: la Bce è disposta ad abbassare l’asticella delle garanzie richieste al cliente, così che questo possa accendere un prestito, innalzando al contempo quella a tutela del rischio delle banche a finanziarglielo, subentrando con un meccanismo risarcitorio qualora famiglia o impresa andassero in sofferenza? Ed evitando agli istituti ricorsi a pignoramenti e cause legali, che certo non rappresentano il core business del settore? Magari tenendo più in conto, nei criteri di erogazione, dei percorsi di sostenibilità Esg avviati dai soggetti richiedenti: non per evitare un improbabile credit crunch, ma la stagnazione economica a partire dal 2024. Forse la limitazione della distribuzione di dividendi – che, come rileva proprio Francoforte, nelle banche che l’hanno applicata durante il Covid ha aumentato del 2,2% i prestiti alle società non finanziarie – potrebbe sostenere l’erogazione, aumentare la solvibilità e la capacità di ammortizzare accantonamenti per perdite su crediti, ma può essere comunque solo una soluzione momentanea se non vuole destabilizzare politica e finanza.
BCE, altro +0,25% sui Tassi: cosa Accade al Mercato dei Mutui