di Piergiorgio Giuliani, vice direttore PLTV
La scorsa settimana abbiamo affrontato il tema del PIL e del suo rapporto col debito pubblico.
Le considerazioni che seguono fanno parte di un “trittico” che si svilupperà analizzando la situazione economica del nostro paese, proseguirà evidenziando gli sviluppi futuri soffermandosi sui settori economici e le aree geografiche che dovranno crescere nei prossimi anni (e quindi dove si concentreranno gli investimenti produttivi) e terminerà con una analisi della comunicazione dei media per poter “leggere tra le righe” e seguire il percorso reale dell’economia e delle riforme strutturali.
Come diceva Ogilvy, forse il più grande comunicatore del XX secolo, i media e i politici (i soggetti sono una mia aggiunta) “non dicono quello che pensano e non fanno quello che dicono”.
Entriamo nel dettaglio di come è composto il nostro Prodotto Interno Lordo, raffrontandolo con altri paesi dell’Unione Europea.
Nel 2019, quindi senza considerare gli stravolgimenti derivanti dal Covid 19, il nostro PIL sfiorava i 1800 miliardi di Euro al terzo posto dopo la Germania che aveva un Prodotto Interno quasi doppio del nostro (oltre 3400 miliardi) e la Francia che si attestava oltre i 2400 miliardi. Al quarto posto la Spagna con circa 1245 miliardi.
Staccata l’Olanda (o meglio i Paesi Bassi) con 810 miliardi. Gli altri paesi molto meno importanti dal punto di vista economico. Tanto per dare un ordine di grandezza, per raggiungere il nostro Pil serve sommare quelli di Svezia, Belgio, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Slovenia.
Tanto si parla in Europa dell’Ungheria e di Orban: il suo Prodotto Interno è di 144 miliardi, meno di un decimo di quello dell’Italia.
Non ho considerato la Gran Bretagna, in quanto uscita dalla Comunità Europea.
La situazione sembra solida, ma scavando nei dati si scopre che il PIL pro capite, che poi è quello che dice “come viviamo in Italia”, ci posiziona sotto la media europea che si attesta a 28.600 euro. In Italia siamo a 26.900, contro Paesi Bassi 41.900, Germania 36.000, Francia 33.300, tanto per citare solo una parte dei paesi che ci precedono. Ci segue la Spagna con 25.200.
Anche come tasso di occupazione siamo posizionati sotto la media europea (54,5%) col nostro 44,9%. Alcuni dei paesi che ci precedono sono Olanda (62,6%), Germania (60,6%), Francia (50,7%) e anche la Spagna, pur con un PIL pro capite inferiore al nostro, ci precede con il 49, 7%.
Ultimo dato che mi interessa sottolineare è la produttività per occupato che si è sviluppata negli ultimi 13 anni. In Germania è aumentata del 3%, in Francia del 6%, in Spagna del 12,5%, mentre in Italia è diminuita del 5%.
Quindi rispetto ai paesi “grandi” dell’Europa, non solo siamo sotto la media del tasso di occupazione, ma perdiamo anche in tema di produttività.
Per questo motivo la Comunità ha deciso di finanziarci: non per bontà, ma perché il progetto europeo rischierebbe un grande ridimensionamento se l’economia italiana dovesse collassare, non essendo in grado strutturalmente di reggere il sottostante debito pubblico. In economia la bontà d’animo non esiste, esiste la logica della convenienza.
Ovviamente per non fare implodere la nostra economia sono necessarie delle riforme strutturali importanti, che allineino i nostri dati almeno a quelli medi europei. La struttura organizzativa, sociale ed economica italiana ha dimostrato che non è in grado di sviluppare la nostra nazione in maniera sostenibile ed equilibrata.
La logica conseguenza di ciò è che le erogazioni della Comunità Europea sono, come si dice in gergo bancario, a stato di avanzamento lavori. Parafrasando un famoso claim pubblicitario: “no riforme, no party”! Che potenza hanno poche parole derivanti da uno studio comunicativo corretto.
Alla prossima settimana!