di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Il mutuo immobiliare, tasto dolente del mercato del credito, per sua natura non è sostituibile o rimpiazzabile con un’altra forma di prodotto per comprare un immobile e la difficoltà dei potenziali acquirenti a ottenerne uno è ai massimi.
Chi l’ha firmato a tasso variabile, magari senza cap, oggi fatica a rinegoziarne uno molto migliore. Il leggero aumento degli esposti rispetto ai ricorsi registrato nel 2023 è riconducibile in buona parte proprio alle domande di rinegoziazione dei variabili, nel tentativo di stopparli nei costanti rialzi (la materia prevalente continua ad essere la CQS). Sebbene solo una minima percentuale passi dal tavolo dell’Abf a quello del giudice ordinario, si tratta di contenziosi utili ai player di settore per comprendere meglio problematiche e questioni che stanno a cuore ai clienti.
Una delle conseguenze dell’aumento dell’importo mensile delle rate è la flessione dell’indice di affordability, che misura il grado di accessibilità all’acquisto di una casa – e dunque di affidabilità per l’intermediario – ed è costruito in base al costo di un prestito di 20 anni, con l’individuazione di una soglia rata/reddito del 30%. Questa si riflette a sua volta sul business real estate. L’Agenzia delle entrate, nell’ultimo Osservatorio sul secondo trimestre, rileva un -16% annuo delle transazioni (184mila abitazioni vendute da gennaio, -35mila): un trend negativo delle transazioni distribuito più o meno uniformemente su tutta la penisola, nei grandi capoluoghi come nei piccoli centri. Tassi e inflazione hanno dissolto in meno di un anno l’euforia post Covid anche nei grandi gruppi investitori, figurarsi tra le famiglie. Nell’arco di tutto il 2023 Nomisma si aspetta una contrazione di quasi il 13% delle compravendite, che si attesteranno in tutto sulle 687mila per scendere ancora a 633mila nel 2024 e 624mila nel 2025.
Ma al calo degli acquisti, determinato banalmente dal calo del potere di permetterseli, non corrisponde ancora quello dei prezzi di vendita residenziale: anzi, “alla fine di quest’anno registreranno una crescita media del 2,8%“. Secondo le stime preliminari Istat, pubblicate oggi, tra case nuove ed esistenti a giugno l’Ipab è aumentato del 2% su base trimestrale e dello 0,7% annuale. Per Bankitalia il cosiddetto “loan to value” – ovvero il rapporto tra ammontare dell’erogato e valore del bene da ipotecare a garanzia – resta elevato, attorno al 70%, ma è in fase calante: i proprietari continuano così a non applicare grossi sconti al prezzo di partenza, giudicato eccessivo dai potenziali acquirenti, che si rivolgono così a residenze con tagli dimensionali più bassi e più periferiche, meno prossime al centro storico.
Non c’è fretta di vendere e tantomeno di svendere sebbene sullo Stivale le unità abitative accatastate siano aumentate di 2 milioni in una dozzina di anni, per un tasso abitativo rimasto al contrario pressoché invariato. Quanti cartelli “vendesi” e “affittasi” vediamo affissi sui portoni dei palazzi? Dei restanti appartamenti e villette ne han fatto b&b e case vacanza per turisti: i cosiddetti affitti brevi. Pure nel giro delle case di lusso, scendono i volumi ma non le pretese dei venditori. Ci sono anche proprietari che preferiscono lasciare gli appartamenti vuoti, per paura di inquilini morosi. E nonostante la miriade di stabili vuoti e abbandonati da decenni – nelle città come nelle campagne (diventati tra l’altro inassicurabili) – si continua a colare cemento: prassi più economica che ristrutturare e riqualificare l’edificio già esistente accanto.
Naturalmente non manca chi, potendo, ricorre a fondi propri per ridurre con una propria somma di denaro quella da chiedere alla banca o estinguere in anticipo tutto o parte del debito residuo (valutando bene la propria quota capitale). Prova del ricorso alle risorse accumulate è anche il fatto che alla parabola della domanda di credito non sembri ancora corrisponderne – secondo altre ricerche e diverse semestrali – una equivalente e altrettanto marcata nel totale dei nuovi prestiti sottoscritti dai consumatori e soprattutto nella qualità complessiva dell’erogato.
Prestiti personali e credito al consumo ammontano a 250 mld, in linea con i valori degli anni scorsi, mentre i mutui immobiliari sono saliti a 425. Del resto la bassa remunerazione di depositi e conti correnti – sia pur in salita – non è certo un gran richiamo per i risparmiatori tanto che, quanto a rendimenti, titoli di stato e Btp sono diventati competitor perfino del mattone negli investimenti. La contrazione riguarda, non a caso, anche le aste immobiliari: in base alle elaborazioni della startup fintech Cherry, nei primi 6 mesi del 2023 i lotti sono scesi a 90mila (-19%) e la base d’asta a 159mila euro di media nazionale (-5%). Di sicuro stringere i denti in attesa di capire meglio dove tira il vento, indebitandosi nel frattempo con affitti record, è l’atteggiamento meno razionale e conveniente. Per tanti utenti si tratta di un alloggio momentaneo, in attesa appunto di trovare l’offerta o il momento giusto per indebitarsi.
Secondo Altroconsumo solo il 20,5% degli italiani vive in affitto: una spesa che, nell’80% circa dei casi, è maggiore della rata di un mutuo (come già emerso a marzo da una indagine di Telemutuo). Senza contare che la stessa locazione è soggetta a rivalutazione da parte del proprietario, una volta terminato il contratto. Nonostante le differenze regionali, a livello nazionale nel primo semestre Tecnocasa registra un aumento medio dei canoni di locazione di oltre il 3% per ogni tipologia residenziale: mono, bilo e trilocale. Una crescita iniziata in realtà “nel 2015 – spiega il centro studi dell’agenzia – e proseguita in tutti questi anni se si esclude il 2020”, quando la pandemia abbassò i valori aumentando l’offerta e riducendo al contempo la domanda; poi c’è stato il ritorno in presenza di studenti e lavoratori e, come sappiamo, il caro credito. Anche Scenari Immobiliari e Idealista, con percentuali diverse, registrano un’ascesa costante del prezzo degli affitti e – come per le vendite – non prevedono un calo neanche nel 2024.
Certo è più difficile chiudere un mutuo che un affitto, ma va ricordato che l’acquisto prevede comunque la possibilità di affittare a propria volta l’abitazione comprata a mutuo in corso, ripagandoselo con gli “interessi”. Fino al 30 settembre resiste ancora, infine, la garanzia fino all’80% per gli under 36: platea che, secondo Facile.it, tra gennaio e giugno 2023 ha raggiunto il 51,3% dei richiedenti. In Parlamento ci sarebbe la proposta di prorogarla al 31 dicembre 2024 abbassando però la soglia di reddito da 40mila a 30mila euro annui: ammesso che non incontri ostacoli in aula, il provvedimento non sarebbe comunque convertito in legge prima di inizio ottobre.
Casa: Aste, Rent to Buy e i Vantaggi dell’Integrazione tra Mediazione Creditizia e Immobiliare