di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Prosegue la contrazione del credito bancario nell’Eurozona rilevata dalla Bce, innescata dalla sua stessa stretta monetaria: ad agosto i prestiti alle famiglie sono calati di un altro 1% annuo dopo il -1,3 di luglio; mentre quelli alle imprese non finanziarie sono scesi dello 0,6% dopo il -2,2% di luglio.
Le rilevazioni di Bankitalia sono ferme ancora a due mesi fa, ma il trend è quello: tra famiglie e imprese il bollettino ABI aggiornato al mese scorso segna addirittura un -3,3% annuo nel nostro Paese, dove evidentemente la politica di Francoforte si sta trasmettendo con particolare forza su economia reale e credito. In attesa di capire se il board ne terrà conto nei prossimi vertici del 26 ottobre e 14 dicembre, S&P conferma il graduale aumento del rischio default nelle imprese più esposte, il cui tasso si dirige verso il 3,75% entro giugno 2024 dal 3,40% di agosto 2023. L’inflazione in Ue rischia di tornare al target del 2% solo a fine 2025 e la parallela prosecuzione di condizioni di finanziamento sempre più rigide, specie in termini reali, accrescerà la vulnerabilità delle aziende e la tensione sul mercato tenendo alta l’attenzione su flussi di cassa, costo del debito e sostenibilità.
Per l’agenzia di rating, costi di rifinanziamento più elevati e valutazioni più basse colpiranno in particolare il comparto immobiliare “e i prodotti di consumo, che dipendono fortemente dalla spesa dei consumatori“. Per quanto riguarda le banche europee, nonostante il deterioramento dell’asset quality, le perdite su crediti dovrebbero normalizzarsi e i rating della finanza strutturata mantenersi solidi di fronte a uno stress modesto. È vero, i crediti deteriorati delle banche tornano a salire dopo anni di ‘dimagrimento’ anche secondo il report Abi-Cerved diffuso ieri, ma lievemente e comunque meno delle attese: per il documento, il tasso di deterioramento del credito alle imprese crescerà quest’anno al 3,1% dal 2,2% del 2022 superando per la prima volta i valori pre-Covid; il picco al 3,8% è previsto nel 2024, poi dal 2025 tornerà a scendere al 3,1. Costruzioni e servizi, assieme all’agricoltura, i settori con la maggiore crescita di default ma negli ultimi anni, come emerso anche dal precedente rapporto di Banca Ifis, il mercato si è strutturato per gestire al meglio l’aumento dei volumi di Npl.
Il problema restano i finanziamenti alle imprese, perché è da questi che discendono i rischi di crediti deteriorati. In Italia è ormai chiaro che, ai tassi attuali, senza garanzie pubbliche le Pmi non riusciranno più a finanziarsi a costi sostenibili. Ammontano a 313 i miliardi erogati in 3 anni tra Fondo di garanzia e Sace, ma dai 143 del 2020 la cifra si è più che dimezzata ai circa 70 del 2022. Il Mimit punta alla proroga selettiva di 6 mesi del regime straordinario in scadenza a fine di dicembre – visto che conflitto bellico, prezzi energetici e costo del denaro sono di fatto subentrati alla pandemia nel prolungare l’emergenza economica – estendendolo alle mid cap, con garanzie al 60% per le imprese con rating elevato e all’80% per le altre. Tornare al complesso regime ordinario Sace, operante come un soggetto privato, vorrebbe dire garanzie a livelli di mercato e lo stesso Mef ha riconosciuto che “quando il settore riemerge dalla garanzia Covid con i tassi d’interesse che sono più elevati di quelli di due anni fa, rischia di annegare e diventare Npl“.