di Giuseppe Gaetano, editor in chief
CRIF aggiorna le stime sul mercato dei mutui immobiliari. Rispetto al primo trimestre 2023 i dati aggiornati ai primi 6 mesi dell’anno rilevano un negativo ancora importante sebbene in diminuzione: -22,4% annuo per le richieste (rispetto al -23,8% dei 3 mesi precedenti); -21% di erogazioni; -30,8% di surroghe (che nel 2022 erano crollate a -57,2%).
Del resto, secondo Prometeia, solo al 18% dei mutui a tasso variabile sottoscritti nel 2022 converrebbe al momento la rinegoziazione del contratto con un’altra banca. “A fare da apripista ai rialzi sono stati i mutui a tasso fisso – spiega lo studio – mentre i variabili sono rimasti sostanzialmente invariati fino al primo rialzo a luglio 2022. Questa asincronia ha portato a un aumento del differenziale fra i due tassi, che in Italia (a differenza di altri grandi Paesi europei, ndr) ha toccato picchi di quasi 100 punti base a luglio e settembre dell’anno scorso” scatenando una corsa azzardata verso il variabile – arrivato a rappresentare a dicembre circa il 40% dei mutui in essere – rivelatasi fallace visto che adesso il fisso (al 4,15% a maggio 2023) è diventato leggermente più conveniente. Da qui, il rapido dietrofront di questi mesi. Ma per quanto tempo ancora il fisso sarà meno caro? A nostro avviso non molto, ma solo le prossime mosse della BCE potranno dircelo con esattezza. “Deciderò a settembre, è molto difficile impegnarsi ora a fare una pausa o meno, il nostro obiettivo di inflazione è il 2% e siamo impegnati a perseguirlo” ha dichiarato alcuni giorni fa Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo, preoccupato in realtà più dallo stato del business dei prestiti alle imprese.
Riguardo le famiglie, di recente la Fabi ha rilanciato l’allarme sulla quota delle rate di mutui, prestiti e credito al consumo rispetto al reddito, passata dal 9,50% del 2019 al 10,55% di marzo scorso: mancherebbero dunque ancora 4 rialzi del costo del denaro da calcolare nella percentuale. Di certo in Italia alla crescita occupazionale non corrisponde quella salariale tuttavia, nonostante i tanti allarmismi del periodo sui mutuatari che rischierebbero di ritrovarsi in povertà, secondo Prometeia solo l’1,8% dei 5 milioni e mezzo di nuclei familiari nella fascia di reddito più bassa sono attualmente alle prese con un variabile: meno di 100mila in numeri assoluti, che potrebbero dunque essere agevolmente aiutati con la tassa sugli extraprofitti delle banche appena varata dal governo, sebbene sia probabile che verrà applicata ai profitti del 2023 e dunque saldata solo nel 2024 (quando si spera che l’inflazione sia scesa a livelli tali da consentire quanto meno una stabilizzazione dei tassi). Buona parte del gettito potrebbe essere destinato a prolungare la garanzia pubblica all’80% per i mutui prima casa degli under 36 con Isee sotto 40mila euro, in scadenza il 30 settembre. Ulteriore conferma di una situazione comunque ampiamente gestibile, è l’alta qualità del credito esibita dalle brillanti semestrali degli istituti: prudenti le banche nel concedere prestiti, quindi, ma accorti anche i clienti a non indebitarsi oltre la loro solvibilità tagliando i consumi. Entrambi stanno contribuendo, a loro modo, alla tenuta economica e sociale del Paese.
Per diversi analisti, in verità, l’imposta straordinaria si tradurrà già in questo secondo semestre in un altro +0,5% del costo dei nuovi finanziamenti alla clientela. La prudenza, dunque, sarà necessaria ancora a lungo. Il problema è che, nel frattempo, l’economia non cresce e il credit crunch rischia di avvicinarsi sul serio. Un altro membro del board di Francoforte, Lorenzo Bini Smaghi, boccia il prelievo sugli extra guadagni perché legati a contingenze temporanee ed hanno riguardato diversi altri comparti oltre quello bancario. Anche per il presidente di Société Générale, il risultato sarà la riduzione dei prestiti a famiglie e imprese: “Chi ha sottoscritto prestiti a tasso fisso fino a un anno fa continua ancora a beneficiare di tassi inferiori all’inflazione – ha ricordato al Corriere della sera -, chi ha scelto il variabile ha avuto un vantaggio e solo negli ultimi 16 mesi è stato penalizzato“. Se la Borsa si è già ripresa, tra i banchieri c’è già chi ha fatto due conti: “L’impatto per Banca Generali vale poco meno di 20 milioni e per il Gruppo poco meno di 10, in relazione alla nostra quota” ha detto oggi il CFO Cristiano Borean, nella call con la stampa che ha seguito la pubblicazione dei risultati del primo semestre, almeno in base alle “ultime novità emerse, secondo cui la tassa sarà pari al massimo allo 0,1% degli asset totali“. Anche Banca Sistema ha minimizzato l’impatto del provvedimento. La maggior parte degli istituti sta ancora studiando bene il testo: ridurrà davvero la redditività nella seconda metà dell’anno, rendendo difficile ripetere i boom delle semestrali di questi giorni?
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