di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Un rialzo del costo del denaro di 400 punti base in meno di un anno non c’era mai stato in 22 anni di Eurozona.
La disinflazione è effettivamente in corsa ma l’inflazione “core”, al netto di costi energetici e alimentari, è ancora al 5,3% dunque – nonostante l’Ue sia in recessione tecnica, con due trimestri consecutivi di contrazione del Pil – l’aumento di altri 25 pb a luglio appare inevitabile. Le stime di MutuiSupermarket indicano che in due anni, da gennaio 2022 a fine 2023, il rincaro sulle rate di un mutuo variabile toccherà in media oltre il 60%; per MutuiOnline da inizio anno il rincaro ha già oltrepassato il 66%; per la Fabi nei prossimi mesi arriverà a superare il 70%: in soldoni, chi pagava una rata mensile di 500 euro oggi ne paga circa 875. I nuovi variabili potrebbero schizzare a breve verso il 6%, dallo 0,6% di fine 2021: significa che per 150.000 euro in 20 anni la rata mensile sarà di 1.090, 325 in più di un anno fa. I nuovi tassi fissi sono passati invece da un interesse medio di circa 1,8% anche oltre il 5%, con le rate più che raddoppiate. Per i clienti non è facile rinegoziare o surrogare in maniera molto più conveniente “ma in prospettiva, fra qualche anno – spiega il segretario generale Fabi, Lando Maria Sileoni – quando i tassi verosimilmente caleranno, un contratto sottoscritto a tassi alti si potrà chiudere con una surroga e ottenere condizioni più favorevoli“. Il valore complessivo del business, a fine marzo, è rimasto sostanzialmente fermo ai numeri rilevati dal sindacato a fine 2022.
Negli ultimi giorni l’Euribor a 1 mese era già arrivato al 3,33% e ora potrebbe salire al 3,58; mentre quello a 3 mesi, già portatosi al 3,52%, fino al 3,77. Agganciato al tasso sui depositi, supererebbe il 3,8% a novembre per poi cominciare lentamente a calare a inizio 2024, inflazione permettendo. Questo ridarebbe fiato alla domanda di mutui, in costante frenata. Intanto però, sul mercato prosegue l’anomalia di tassi variabili, che superano ovunque il 4,3%, più cari dei fissi, che non scendono sotto il 3,7%: il fenomeno determina un immobilismo, spaesando gli aspiranti mutuatari. Al momento sono più di 3 milioni, secondo Nomisma, quelli a caccia di una casa da comprare entro l’anno, oltre la metà dei quali costretta a ripiegare sull’affitto in attesa di capire quale tasso convenga accendere e quando. Vero che i canoni di locazione in alcune grandi città hanno superato le rate dei mutui, ma queste durano ovviamente per 20-25-30 anni: per alcune famiglie è un periodo troppo lungo per capire, oggi, se potersele permettere anche domani. Non a caso aumenta il reddito medio dei richiedenti, e chi non ha capitali in partenza tende ad aspettare tempi migliori. Crescono comunque del 3% annuo – attestandosi al 34,8 – le famiglie che prevedono difficoltà nel pagare pure l’affitto, tanto che nei primi mesi del 2023 i nuovi affittuari sono calati dal 5,6 di fine 2022 al 5%. Per quanto concerne la qualità del credito, l’incidenza delle sofferenze è aumentata del 13,6% ma l’alleggerimento dei bilanci bancari è stato garantito dalla cartolarizzazione dei mutui, proseguita anche nel 2023; tanto che a marzo le consistenze dei prestiti cancellati, con controparte le famiglie residenti, ammontavano a 51 miliardi e mezzo.
Nomisma indica un calo del 14,6% delle compravendite immobiliari nel 2023. “La stretta monetaria della Bce – dice l’ad Luca Dondi – si scontra con un fabbisogno crescente di credito da parte di chi si rivolge al mercato immobiliare, costretto a fare i conti con la rigidità dei prezzi“. Sulla propensione all’indebitamento: il 42,7% dei consumatori intervistati ricorrerebbe “sicuramente” al mutuo per l’acquisto dell’abitazione, il 35,2% “probabilmente”. Certo, per evitare il caro tassi, i potenziali proprietari che hanno fretta e risparmi da parte potrebbero anche decidere di dar fondo alle riserve di liquidi, ritirandoli da conti e polizze. Forse ci sono anche loro nel -24,4% di richieste di mutui attestato da CRIF a maggio, insieme al -2,4% dell’importo medio erogato, pari a 143.390 euro. Una conferma in tal senso potrebbero essere i 10 punti percentuali che, nelle rilevazioni Nomisma e CRIF, distanziano rispettivamente i crolli dei business immobiliare e creditizio. E questo con i tassi c’entra fino a un certo punto: sono infatti anche caro vita e bollette, assieme ai mutui, a pesare in media – solo nelle spese fisse – per circa 4mila euro in più all’anno sui budget dei mutuatari rispetto a prima del ciclo di strette monetarie, e almeno 2-3mila di questi sono appunto interessi sui finanziamenti per l’acquisto di abitazioni. Voci incomprimibili, verso cui gli italiani stanno spostando gradualmente le loro risorse.
Credito, Non solo Mutui: gli Effetti della Stretta BCE sui Prestiti, a Famiglie e Imprese