di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Cresce il numero di banche che offrono non solo mutui ma anche surroghe con le agevolazioni “green” (Bper, Credem e Ing tra gli ultimi Big a luglio) consentendo, già ora, oltre 40 pb di risparmio sui corrispondenti prodotti “brown”.
La finanza verde, inclusa quella rivolta alle imprese, è diventata un capitolo fondamentale del bilancio di sostenibilità che sono tenuti a redigere gli istituti di credito: rappresentando i mutui oltre metà degli attivi bancari, la loro quota green costituisce il segmento più importante in assoluto ai fini del calcolo del Green asset ratio. Il problema è che – in base a dati Eurostat – quasi il 70% di tutti gli edifici certificati in Italia rientra ancora nelle 3 classi energetiche più basse, e solo il 4% degli immobili residenziali è in classe A: i costi per aumentare le prestazioni sono salati per le tasche di troppi cittadini, che non avevano mai pianificato prima questo investimento sulla propria abitazione.
Secondo il Crif Esg Outlook, nel 2023 oltre il 40% delle ristrutturazioni e il 90% delle nuove costruzioni ha riguardato immobili in classe A; tuttavia, anche nel più ottimistico degli scenari, questi non andranno oltre il 14% nel 2030 e il 37% nel 2050: per quella data, invece, dall’attuale 10% (con un picco del 16% toccato lo scorso agosto) i mutui green supereranno il 50% dell’intero business dei prestiti per comprare casa. Una cavalcata inarrestabile se pensiamo che, in base ai dati dell’osservatorio Qualis Credit Risk, nel 2020 toccavano appena il 3% del totale, per passare al 6,5% nel 2023.
Più che una crescente sensibilità della cittadinanza e delle istituzioni verso le tematiche ambientali, a cui non crediamo nella maniera più assoluta, sono i traguardi dettati dallo European Green Deal e la normativa delle authority sui bilanci del comparto bancario che continueranno a soffiare sul trend. Certo è necessario che pure il governo batta un colpo – a suon di detrazioni fiscali molto più generose – se intende rispettare le prescrizioni della direttiva UE sulle “Case Green”, accusata di non tenere in debito conto le specificità dell’Italia, dove l’80% dei residenti ha un’abitazione di proprietà, gli stabili hanno in media 70 anni e una ristrutturazione a norma comunitaria costerebbe troppo per il Paese con gli stipendi più bassi del continente: da noi i prezzi – di qualunque bene o servizio – seguono la speculazione anziché l’inflazione, e la burocrazia è anche online. Non a caso il 56,7% dei mutui verdi è acceso attualmente da due richiedenti, quasi sempre una coppia, richiedendo un doppio stipendio per fronteggiare il rimborso.
Vittorio Bruno, Head of Commercial and Underwriting di Qualis Credit Risk, stima che “entro il 2033 in Italia sarà necessario riqualificare il 42% degli immobili (corrispondenti a circa 5 milioni di unità abitative, ndr) per un costo totale tra i 260 e i 320 miliardi di euro, con il mercato del credito che dovrà contribuire a circa metà di tali somme” garantendo finanziamenti tra i 13 e i 16 mld all’anno nel prossimo decennio. Non basteranno certo sconti sui tassi di interesse e perizie gratuite per raggiungere l’obiettivo: cappotti termici e infissi richiedono, insomma, uno sforzo di sistema.
Stando a un recente sondaggio di Casavo, il 64% degli italiani vede nel provvedimento europeo un’opportunità per ammodernare il patrimonio residenziale, ma il 73% teme i costi che dovrà sostenere per la ristrutturazione. Inoltre il 68% ritiene che le case in classe energetica tra la E e la G perderanno molto valore mentre – per quanto riguarda l’edilizia green – per la metà del campione il primo vantaggio è la riduzione delle bollette. Che, in realtà, è il beneficio minore: se di per sé il mattone ha sempre rappresentato un investimento lungimirante per le famiglie, quello “green” lo è ancora di più – per i proprietari come per gli intermediari (migliorando il loro indice di sostenibilità delle attività finanziarie) – costituendo un mezzo per mantenerne o rivalutarne il potenziale valore di rivendita nel tempo.
Anche qui, però, per la gran parte degli intervistati la principale difficoltà nell’affrontare la spesa sono sempre i costi iniziali troppo elevati, seguiti da lungaggini burocratiche (33%) e mancanza di incentivi governativi (26%). In cui, a giudicare dalla percentuale, sperano ormai sempre meno persone.
Sarebbe importante, invece, che vi fosse un piano “Transizione 5.0” anche per le case private accanto a quello già in vigore per le aziende. Per recepire la legge, gli stati membri hanno in teoria due anni dall’entrata in vigore, il 28 maggio 2024: non c’è bisogno della palla di vetro per capire che non basteranno nemmeno per reperire materiali e manodopera necessari a tale impresa gigantesca, figurarsi i soldi per pagarli. L’esecutivo Meloni annuncia battaglia su tempi e modi della norma europea, ma la strada appare segnata.
Se lo Stato non interviene il rischio è di spalcare ulteriormente, anche sul fronte della riqualificazione energetica, lo storico gap che separa Nord e Sud dello Stivale in ogni ambito di sviluppo. Secondo una analisi dell’ufficio studi WeUnit su cifre Bankitalia, il mercato dei mutui è concentrato infatti in appena 5 regioni: Lombardia (10,5 mld), Lazio (5 mld), Emilia Romagna (4,3 mld), Veneto (3,9 mld) e Toscana (3 mld) totalizzano il 65% del business, pari a 26,7 mld richiesti su 41 complessivi. La sproporzione rispetto al resto della penisola è dovuta al numero di abitanti e immobili, ma anche alla maggiore capacità di attrarre investimenti. Riguardo la specifica tipologia “green”, lo stesso osservatorio Qualis ribadisce la maggiore diffusione nelle regioni centro settentrionali; in particolare Lombardia, Lazio, Veneto e Sardegna. L’auspicio è che, con una partnership pubblico-privato, s’inverta presto rotta.
Mutui: “Verde” Speranza all’orizzonte, intanto Calano anche i tassi Variabili