Da ieri è ufficiale: per ridare fiato al mercato creditizio e immobiliare il governo ha esteso fino al prossimo 31 dicembre 2023 la garanzia all’80% del Fondo mutui prima casa per gli under 36, età soglia per andare a vivere da soli visto che – secondo Eurostat – fino al 2021 oltre il 70% degli under 34 italiani vivevano ancora a casa coi genitori.
Identiche le condizioni del provvedimento in scadenza il 30 settembre: reddito Isee inferiore a 40mila euro annui e appartenenza alle categorie prioritarie (oltre ai giovani, il bonus è riservato a coppie coniugate o conviventi more uxorio da almeno 2 anni, nuclei familiari monogenitoriali con figli minori ei conduttori di alloggi di proprietà degli istituti autonomi per le case popolari). Non è escluso che l’agevolazione possa essere prolungata anche nel 2024, magari con la copertura al 50% della quota capitale (comprensivo di oneri accessori) e il limite Isee a 30mila. Intanto, secondo Facile.it, senza la proroga tanto attesa oltre 210mila utenti in target avrebbero rinunciato all’acquisto: vedremo se davvero tanto potenziale mercato si riverserà in banca.
Questo per quanto riguarda i nuovi mutui, per cui resta il dilemma tra fisso e variabile – ora entrambi alti – alla luce dell’imminente frenata della politica monetaria. Da ormai 4 mesi il fisso costa meno del variabile (oggi fino a un punto), mentre l’Euribor a 1 mese è più basso del tasso di riferimento di Francoforte e i futures indicano un picco a 3,9% a dicembre, proprio quando scadrebbe la garanzia pubblica. All’ABI risulta che a luglio 2023 il fisso abbia toccato il 4,04% rispetto al 4,59 del variabile; a giugno erano rispettivamente a 4,13 e 4,47%; a maggio 4,15 e 4,40%; ad aprile 4,06 e 4,33%. Per la verità un fenomeno del genere si era già osservato in alcuni mesi del 2020 e 2021, ma è un’anomalia comunque destinata a rientrare. Il dubbio amletico col fisso è sempre in piedi anche per i vecchi mutui variabili: forse non è sbagliato attendere ancora fino all’inizio del prossimo anno, prima di scegliere se mantenerli o cambiarli. Anche in vista di una surroga al fisso, per chi può converrebbe aspettare che questo scenda insieme al costo del denaro.
Naturalmente resta importante per l’intermediario assicurarsi che il cliente abbia disponibilità bastevoli a fronteggiare eventuali imprevisti incrementi della rata; e quindi valutare la capacità reddituale prospettica, oltre che attuale, del mutuatario che – accreditando la prospettiva che la Bce inizi a considerare l’involuzione economica dell’Eurozona oltre all’inflazione, e dunque lo scenario di una futura stabilizzazione del mercato – opti per accendere o conservare il tasso variabile. Applicare un cap ai prestiti già in essere, come hanno fatto alcuni istituti di credito, è un’altra soluzione papabile. E chi è in apnea pure col fisso, perché nel frattempo è aumentato il costo di tutto il resto? Anche lui in teoria può estendere la durata del piano di ammortamento, ma è un’opzione praticabile fino una certa età, che può risolvere un problema di liquidità nell’immediato ma comporta interessi aggiuntivi che bisogna aver la certezza di poter onorare in futuro.
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