di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Altri 25 cent che portano il tasso di riferimento sulle operazioni di rifinanziamento al 3,75% e quello sui depositi, a cui sono agganciati gli indici Euribor dei mutui a tasso variabile, al 3,25%.
“Siamo consapevoli che le famiglie stanno soffrendo” ha detto la presidente della Bce Christine Lagarde, dopo il settimo rialzo consecutivo da luglio 2022 (quando era -0,50%), a 24 ore dall’analoga decisione della Fed: 375 punti base in 10 mesi, dopo anni di tassi negativi. “Purtroppo non è qualcosa che possiamo alleviare – ha aggiunto – perché il nostro compito è la stabilità dei prezzi” e l’unica arma pare il costo del denaro. Ammesso che l’effetto congiunto con un’inflazione che non vuole scendere non inneschi una spirale recessiva, “le banche europee sono resilienti per il livello di capitali, liquidità e qualità degli asset liquidi” ha ribadito il vice Luis de Guindos, scansando confronti col modello Usa, tuttavia “la crescita dei prestiti si è indebolita a causa di tassi debitori più elevati, condizioni di offerta di credito più rigorose e domanda inferiore – si legge nel bollettino -. L’inasprimento degli standard creditizi è stato più forte di quanto le banche si aspettassero” e non è escluso che il mercato rallenti ancora. Sui mutui, alcuni Paesi Ue stanno ricorrendo a moratorie e rinvii.
Certo se, come pare certo, la Bce rialzerà il costo del denaro di un altro 0,25% a giugno, il mutuo a tasso fisso è destinato nell’immediato ad aumentare ancora la sua convenienza per i clienti rispetto al variabile. Nell’ultimo decennio, era successo solo a settembre 2019 che questo diventasse più caro (a 1,23%). Considerando la media dei TAN a 20 e 30 anni la differenza, a marzo, è stata di 4 punti base a favore del fisso (3,80% contro 3,76%) e sulle migliori offerte è arrivato anche a 9. Fino ad aprile i dati confermano questa “anomalia” che rende il variabile conveniente solo in previsione della fine della stretta monetaria e se ci si indebita per una rata molto al di sotto del limite sostenibile. Attualmente, secondo Bankitalia, rappresentano solo il 37% del totale dei mutui accesi e il 30% dei nuovi ha comunque un cap. Senza scendere in calcoli rateali, mettendo insieme le varie analisi condotte dagli operatori in queste settimane, i costi di quest’ultimo ad aprile sono cresciuti in media di circa il 40% annuo a prescindere da importo e durata.
L’inflazione, da costi e non da domanda, non sta piegando come dovrebbe e senza un drastico calo dall’8,3 di aprile, il rallentamento del business creditizio e immobiliare rischia di protrarsi a tutto il 2024 e oltre. Alcuni numeri delle suddette analisi: il barometro Crif del I trimestre 2023 segna una crescita dell’importo medio richiesto, a oltre 145mila euro (+0,9% annuo) e un calo del 22,7% della domanda di mutui e del 23,8% delle istruttorie; per Mutuionline, da quando sono aumentati i tassi, il reddito medio dei mutuatari è passato da meno di 2.200 euro a oltre 2.500; Consap rileva un costante aumento delle richieste di sospensione delle rate dei mutui prima casa: a marzo sono state 556, il volume più alto da inizio anno ed esattamente il doppio rispetto a settembre 2022; per Facile.it con altri 25 punti base il rincaro annuo sfonda il 50% e il tasso passerà al 4,39%. Di questo passo dopo l’estate potrebbero superare il 5%, per poi calare in inverno.
In tale contesto secondo Idealista l’investimento del Btp è arrivato a insidiare quello nel mattone, considerate le differenze in trattamento fiscale e costi di acquisto e gestione. Non dimentichiamo che “gli italiani hanno comprato casa anche con i mutui a due cifre” ricorda però Luca Dondi, ad Nomisma, secondo cui non ha senso un confronto con la situazione irripetibile di 12 mesi fa. Il problema è che “i grandi investitori sono fermi” e “i prezzi eccessivi” in rapporto a edifici vetusti, specie dal punto di vista energetico, e dunque destinati a deprezzarsi rispetto all’attuale rendimento dei titoli di Stato (ma c’è da chiedersi se anche questi manterranno il loro valore tra 2-3 anni). Inoltre il risparmio in partenza sulle spese notarili, in termini di liquidità, non attira più come un tempo la platea di Isee under36 sotto i 40mila euro, e nel Def non si parla di rinnovo della garanzia Consap rafforzata all’80% che ha trainato 11 miliardi di finanziamenti. Di sicuro oggi tra i compiti del consulente c’è anche quello di indirizzare la scelta della clientela verso le aree urbane “più promettenti, cioè meglio collegate o che vanno verso una promessa di rigenerazione urbana o infrastrutturale” dice Dondi, anche perché i prezzi degli immobili non caleranno se non leggermente e solo verso la fine dell’anno.
Segno che non c’è fretta di vendere ma “le aspettative dei proprietari si sono molto alzate negli ultimi anni e non sono più in linea con la domanda – avverte Alessandro Ghisolfi, responsabile centro studi di Abitare Co -. Chi mette sul mercato abitazioni molto vecchie o da ristrutturare dovrà ridurre le aspettative“, volte ora verso “prodotti nuovi, case che rispondono a esigenze contemporanee e in linea con i migliori standard energetici di classe A” conclude Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari. Nell’ultimo anno l’OAM rileva un +3,3% di operatori che segnalano difficoltà nel reperimento del mutuo da parte degli acquirenti (il 28,2%, il valore più alto dal 2015) e, specularmente, un calo delle compravendite finanziate da mutuo ipotecario al 65,3% dal 68% di un anno fa. Inoltre, più della metà degli agenti indica come causa prevalente di cessazione dell’incarico a vendere il disallineamento tra prezzo e offerta. Resta elevato il rapporto fra ammontare del prestito e valore, attorno al 77% (-2%).
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