di Giuseppe Gaetano, editor in chief
La Bce ha alzato di un ulteriore 0,25% il costo del denaro eppure Bankitalia ha appena registrato che i tassi dei mutui immobiliari italiani, a luglio, sono scesi per la prima volta da un anno a questa parte.
Unimpresa aveva ribadito a inizio settembre che gli interessi applicati in Italia, con il 4,23% di media, risultano i più cari d’Europa: 52 punti base di differenza rispetto a Germania e Spagna (3,71%), 135 sulla Francia (2,88%); il più vicino al nostro scarto è il Portogallo (4,14%). Una forbice che, rispetto all’allineamento mantenuto per tutto il 2021, ha iniziato ad allargarsi in concomitanza con l’avvio delle strette monetarie e spiegabile forse solo con i salari italiani che per importo, rispetto al resto dell’Ue, sono altrettanto da record ma in negativo. L’anomalia (degli interessi, non dei salari) – affiorata anche da Hypostat, il rapporto annuale della European Mortgage Federation, che calcola in 45 pb lo scarto con la media europea nel primo trimestre 2023 – non poteva durare a lungo ed è destinata ad essere solo temporanea, rientrando presto nei range comunitari. Certo, contando l’ultima stretta di Francoforte – e gli altri due vertici in agenda prima della fine del 2023, il 26 ottobre e il 14 dicembre – è facile prevedere che comunque gli interessi non scenderanno sensibilmente prima di metà 2024. Anzi – contrariamente all’ultimo bollettino Bankitalia – quello ABI aggiornato ad agosto, uscito nel weekend, rileva che in realtà il tasso medio sulle nuove operazioni per acquisto di abitazioni ha proseguito a salire leggermente il mese scorso, raggiungendo il 4,29%.
È indubbio che sul momento difficile che attraversa il business dei mutui abbiano influito non solo incertezza e sfiducia, ma per primi i prezzi. Dei 1600 euro di rincari autunnali a famiglia calcolati da Assoutenti, 1000 riguardano i mutui; seguono staccati gli alimentari, con “appena” +190 euro. I conti dell’associazione ricalcano bene o male quelli rilasciati finora da comparatori, sindacati e altre organizzazioni: un mutuo ipotecario variabile di 125mila euro a 25 anni (il più diffuso) costa in media il 60% in più rispetto a inizio 2022, corrispondente a una maggiorazione di circa 270 euro sulla rata. Dopo il rialzo del 14 settembre, la Fabi ha rivisto addirittura fino al 75% il rincaro sui variabili in 14 mesi, cioè 375 euro mensili in più. È chiaro che la progressione dei rincari andrà spezzata a breve se non si vuole mettere in crisi in un intero sistema economico trascinando nella crisi il comparto real estate con, a cascata, tutto l’indotto. Posto che la tassa sugli extraprofitti – bocciata da più parti e già in corso di revisione, come la legge sui crediti deteriorati – non risolleverà da sola la situazione, spetta solo alla Bce invertire marcia visto che le banche hanno le mani legate dalle sue regole.
In realtà, gli analisti di Intesa Sanpaolo avevano già avvertito che “l’incertezza dello scenario e il rischio che l’inflazione resti sopra il 2% anche nel 2025 giustificherebbero un orientamento ancora restrittivo” della politica monetaria. Tuttavia “se i dati non sono abbastanza forti da giustificare un aumento adesso – scriveva Bank of America alla vigilia della stretta del 14 settembre – è improbabile che sia giustificato più tardi, quando l’attività rimarrà debole e l’inflazione si sarà ulteriormente affievolita“. Da quel momento, i tassi resterebbero congelati per qualche mese prima di iniziare a calare lievemente nella seconda metà dell’anno prossimo, anche “per impedire al mercato di scontare tagli precoci e rapidi“. Con un lungo break, invece, riceverebbero indicazioni più chiare sul probabile tasso terminale e Francoforte avrebbe più tempo per ponderare il trend inflattivo. Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ripete che quel momento è ormai “vicino“: potrebbe essere identificabile col prossimo vertice del 26 ottobre? Come emerso tra le righe della stessa nota con cui Lagarde ha motivato l’ultima stretta, i sussulti potrebbero essere agli sgoccioli e cominciare a stabilizzarsi preludendo alla discesa.
Molto probabilmente la prima riunione in cui non aumenterà i tassi sarà quella che metterà fine al ciclo di strette, lasciando un po’ a riposo il costo del denaro. Il condizionale resta d’obbligo in ogni view, ma la prospettiva riapre il dibattito fisso/variabile che da mesi affrontiamo su PLTV: meglio un tasso fisso ora più economico del variabile ma che resterà comunque alto per decenni, a meno di non correre a surrogare o rinegoziare tra qualche anno sperando di riuscirci, o stringere i denti col variabile visto che il paradosso del fisso più basso non potrà continuare a lungo, che il tetto di Francoforte ai rialzi appare ormai prossimo, e che c’è la prospettiva che gli interessi sui mutui inizino a scendere forse anche prima di quelli sugli altri prestiti, visto che l’Euribor non è detto che segua in parallelo i tassi ufficiali per velocità e intensità? Chi fino a metà 2022 ha continuato a sottoscrivere mutui variabili, anche se quella rata allora così bassa ha rappresentato l’unica maniera per accendere un contratto, non è stato accorto riguardo al fatto che tassi così bassi non sarebbero potuti durare a lungo. Ora gli interessi potrebbero superare il 6% anche sui nuovi fissi, oramai già ben oltre il 90% delle nuove richieste ed erogazioni per l’acquisto di abitazioni.
Secondo un report Mutuionline aggiornato a metà agosto, l’incidenza delle surroghe ha toccato il 33% del totale (+1,7% sul secondo trimestre 2023). Misto e cap sono marginali: l’interesse della clientela è catalizzato ormai dalla certezza del tasso fisso e dalla sua momentanea convenienza. Fino a un mese fa l’Euribor a 3 e 1 mese cresceva di oltre il 20% rispetto a giugno, attestandosi ad agosto rispettivamente alla media del 3,78 e 3,62%: sui nuovi contratti era al 4,81%, oltre 100 punti base il fisso (3,77%). Invece gli indici Irs, pur salendo a loro volta, restavano al: 3,20% (scadenza a 10 anni), 3,09% (20 anni) e 2,82% (30). Riguardo al Tan medio, nel trimestre in corso il fisso si è fermato al 3,55% mentre il variabile è aumentato ancora al 3,30%. La stessa superficiale considerazione di una congiuntura contingente, che all’epoca dei tassi a 0 ha diretto la scelta verso il variabile, ora agisce in direzione opposta. Tutt’oggi molti italiani mostrano poca lungimiranza nella scelta del contratto, dettata spesso solo dal prezzo meno caro all’atto della firma e mancando di prospettiva. Pur di non rinunciare al sogno immobiliare, adesso la parola d’ordine è diventata: importo più basso e durata più lunga, per calmierare la rata e spalmare i maggiori oneri del prestito; magari da lasciare in eredità a figli e nipoti (insieme alla casa). Un comportamento sempre più prevalente sulla penisola.