di Giuseppe Gaetano, chief editor
Con l’inflazione “core” in Ue al 5,6% la Bce non ha concluso la serie di strette monetarie dagli effetti nefasti sul business dei mutui ma anche su quello dei prestiti, riducendo la concessione dei Tltro che stanno dietro l’erogazione di prestiti bancari al settore privato non finanziario.
L’Euribor non calerà prima del 2024 e con un altro paio di rialzi del costo del denaro, a luglio e settembre, a fine anno la rata di un tasso variabile potrebbe superare il +60% annuo, e quella del fisso raddoppiare. La situazione sembra dire: chi può abbatta il debito residuo, altrimenti per ora il tasso fisso conviene ai consumatori sia sui nuovi mutui, visto che i variabili non scendono sotto il 4%, sia nella rinegoziazione col proprio istituto o nella surroga con un altro. MutuiSupermarket sostiene che ad aprile il fisso ha raccolto oltre il 95% delle preferenze sul proprio portale online, e il risparmio sul variabile è destinato ad aumentare nei prossimi mesi. Curioso notare che, a parità di cifra e durata, in realtà un mutuo a tasso fisso oggi costa circa l’80% in meno rispetto a una trentina d’anni fa. Telemutuo ha realizzato un confronto “generazionale” tra il prezzo finale di un finanziamento ipotecario trentennale acceso da un giovane, adesso e nel 1990, per l’acquisto della prima casa: il montante per un importo da 100.700 euro (pari a 195 milioni di vecchie lire) ammonterebbe ora a 162mila euro contro gli equivalenti 292mila versati dai “genitori”, anche se questi avessero rinegoziato nel tempo il tasso iniziale. Allora quello applicato dalle banche si attestava infatti attorno al 14%, a fronte di un’inflazione al 6,5%.
“Negli ultimi decenni le condizioni di finanziamento per l’acquisto di una abitazione sono migliorate – spiega Angelo Spiezia, ad di Telemutuo – non solo a fronte del calo dei tassi di interesse ma anche per il beneficio offerto dal Decreto Bersani nel 2007, che garantisce la possibilità di surrogare consentendo al mutuatario di ottimizzare i propri finanziamenti ipotecari a seconda delle condizioni del mercato“. Tornando a tempi più recenti, a febbraio 2023 il valore complessivo dei mutui ammontava a 426 miliardi di euro. Su 25,7 milioni di famiglie italiane, 3 milioni e mezzo hanno un mutuo su un totale di 6,8 (il 25%) indebitate anche con altre forme di finanziamento, principalmente credito al consumo e prestiti personali, altrettanto in frenata. Con l’innalzamento dei tassi per Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi che ha diffuso recentemente questi dati, c’è il pericolo di un forte rallentamento dell’immobiliare, dell’edilizia e degli investimenti delle imprese, con ricadute sulla qualità dell’occupazione.
Riguardo il primo comparto il trend va verso immobili più piccoli, proporzionati al diminuito potere d’acquisto, ma i proprietari non sono spaventati da svalutazioni o allungamento dei tempi di vendita. A frenare il business non sono infatti solo i mutui tornati su valori precedenti all’anomalia irripetibile dei tassi zero, che prima o poi sarebbe finita, ma anche i prezzi delle case che non scendono (gli italiani con più di una abitazione intestata sfiorano ufficialmente il 30%) e gli stipendi medi che non salgono (ed erosi dal caro vita). Gli interessi a 25-30 anni su mutui al 70% e oltre ormai superano di parecchio il doppio dell’importo richiesto e la metà del valore dello stesso immobile acquistato: secondo una media calcolata dal Corsera, con 1.500 euro netti al mese a Milano un dipendente può permettersi ormai al massimo un monolocale. Anche la garanzia all’80% del Fondo Consap sui mutui prima casa agli under 36 – dopo il successo iniziale, con un picco di 8mila domande a maggio 2022 – ha iniziato a scemare dallo scorso autunno fino a scendere a 2.524 erogazioni lo scorso febbraio, secondo gli ultimi dati disponibili.
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