di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Sapevamo che ABI e Mef stavano lavorando per escogitare delle nuove misure che attenuassero l’impatto della rincorsa dei tassi d’interesse sull’importo delle rate dei mutui a tasso variabile senza tetto, oltre il mero allungamento della loro scadenza, che da solo non basta. Tuttavia la circolare emanata ieri pomeriggio, con cui l’Associazione re-invita genericamente banche e intermediari ad andare incontro alle famiglie alle prese con questo tipo di contratto (ammesso e non concesso che siano tutte realmente in crisi), non aggiunge molte novità sul panorama del mercato.
Il testo evita di entrare nel dettaglio dei provvedimenti adottabili che, naturalmente, non scatteranno in automatico ma saranno presi in considerazione solo “su richiesta e d’intesa” con i clienti, “senza nuovi oneri” e soprattutto “secondo le possibilità operative delle singole banche e compatibilmente con i limiti imposti da regolamentazione europea e condizioni anagrafiche dei beneficiari”. In sostanza le banche sono incoraggiate (ma certo non obbligate) a posticipare la durata del mutuo non solo ai soggetti in regola nei pagamenti ma anche ai ritardatari, purché non oltre 90 giorni, e a valutare lo stop alle rate per 18 mesi attivando il Fondo Gasparrini e rispalmando il debito nel tempo. Addirittura secondo alcune ricerche la vecchia rinegoziazione, nonostante la libertà di condizioni applicabili concessa agli istituti, costerebbe alla clientela la metà rispetto all’opzione del prolungamento del piano di ammortamento, che comporta necessariamente un aumento degli oneri per interessi perché la ricontrattazione del prestito non costi alla banca più dell’1%: soglia oltre la quale la posizione del cliente verrebbe riclassificata come deteriorata, impossibilitandolo ad attivare nuove linee di credito in futuro. La portabilità – terzo strumento “abbatti” rata – conviene più che altro ai variabili accesi dopo il 2015, quando l’Euribor scese a 0, ma le surroghe non piacciono alle banche e continuano a crollare.
Va detto, inoltre, che il risparmio medio ottenibile con le suddette soluzioni supera di poco i 200 euro mensili. Visto che il Gasparrini è sfruttabile in casi limitati, il quarto rimedio (sempre su base volontaria) potrebbe essere ampliare la platea dei mutuatari ammessi alla rinegoziazione obbligatoria prevista dalla legge 197/2022: magari lasciando la condizione dei pagamenti in regola ma retrodatando di qualche anno i contratti ammessi, aumentando l’ammontare del prestito da 200 a 400mila euro, innalzando a 40-45mila il requisito del reddito Isee famigliare o prorogandone la validità oltre il prossimo 31 dicembre se non ci pensa il governo. Questo, come la poco raccomandabile possibilità di rimborsare per un tot di anni solo gli interessi sul debito (che al contrario spalmerebbe il debito su meno anni), rientra nella facoltà del contraente di “chiedere una revisione di altre condizioni contrattuali“: se sarà accettata, dipenderà caso per caso. Sono solo idee, suggerimenti, raccomandazioni: nessun accordo vincolante e cogente per gli istituti e dunque, se tutto prosegue ad essere lasciato alla loro discrezionalità – e non potrebbe essere altrimenti se non si vuole che l’esecutivo sfidi direttamente EBA e Antitrust – non è possibile fare tanto di più, specie per chi ha già superato i 90 giorni di mancato pagamento.
“Prevenendo le crisi delle famiglie – ha riconosciuto qualche giorno fa lo stesso presidente, Antonio Patuelli – si prevengono anche i crediti deteriorati e maggiori oneri di capitale per le banche, quindi l’interesse è assolutamente convergente” con quello dei consumatori. Quasi tutte le banche si sono mosse infatti già da tempo e in autonomia, senza attendere circolari ufficiali da pubblicizzare su filiali e portali online: per citarne uno Cassa di Ravenna, che da maggio – subito dopo l’alluvione in Emilia Romagna -, ha allungato fino a 24 mesi la possibilità di sospendere del tutto le rate: “E i nostri clienti possono anche sottoscrivere un prestito obbligazionario senza esborso, con un tasso inferiore a quello di mercato” ha annunciato a QN il dg Nicola Sbrizzi. E i big? “Tre quarti dei nostri mutui sono a tasso fisso – ha dichiarato sempre alcuni giorni fa il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro -, quindi il problema si ridimensiona“. L’emergenza sociale, che desta un certo allarmismo sui media, in effetti non è ancora nei numeri. Intanto da quel 37% calante di mutuatari ancora a tasso variabile (corrispondente a oltre 157 miliardi erogati) andrebbero tolti quelli col cap (più del 30% dei nuovi variabili prevede un tetto) e i nuclei famigliari che, nonostante il rincaro, non versano comunque in gravi difficoltà economiche. È vero che perfino i mutui garantiti dal Fondo prima casa, con rate non pagate, sono saliti da 356 a 507 in 6 mesi; ma si tratta di una percentuale minima rispetto a quelli accesi e “fisiologica considerati i volumi“, afferma Consap. Ad oggi è stato attivato appena lo 0,2% delle 346mila garanzie in bonis.
Npl e Utp si stanno lentamente riaffacciando alla finestra e vanno senz’altro monitorati ma finora, più che creare sofferenze sulle stipule in essere, i continui rialzi della Bce ne hanno scoraggiato la stipula di nuovi: da settembre 2022, le richieste Consap sono calate del 40%. Ora ne arriva una media di 330 al giorno, che resta comunque una quantità discreta considerata la “tempesta perfetta” che si sarebbe abbattuta sul mondo del credito ma che forse, a giudicare dalle cifre, deve ancora farsi sentire davvero. Il 30 settembre la garanzia scadrà e non è una buona notizia per il business, anche immobiliare, visto che ha erogato oltre il 40% di tutti i finanziamenti concessi da maggio 2021, quando fu introdotta all’80%, al 30 giugno scorso: in numeri, 180.974 di cui 84.070 con garanzia all’80%. Sicuramente parte dei 30 miliardi spartiti in un anno dai conti correnti, così come lato assicurazioni i riscatti delle gestioni separate, potrebbero esser stati destinati all’acquisto diretto di abitazioni e altri beni e, semmai, alla riduzione della durata del debito se non proprio alla sua estinzione. A nostro modo di vedere, a chi riesce a stringere i denti e portare un po’ di pazienza converrà mantenere il variabile sul lungo termine anziché passare a un fisso così alto. “Le previsioni di settembre saranno la prima data per rispondere all’efficacia delle nostre misure e se l’inflazione si sta muovendo verso l’obiettivo” ha annunciato difatti la presidente Christine Lagarde, lasciando intendere che nel board del 14 settembre potrebbe esserci il primo break al ciclo di strette monetarie.
ABI: Prestiti a Famiglie e Imprese -1,5% annuo a Giugno, Tasso medio al 4,25%