di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Il risiko bancario in corso in Italia potrebbe essere credit-positive per il comparto, rafforzando i profili aziendali e finanziari dei suoi attori.
Tuttavia i Gruppi in ballo dovranno superare significative sfide di integrazione, prima di poter realizzare appieno qualsiasi vantaggio strategico. Secondo Fitch Ratings le potenziali fusioni e acquisizioni in atto promettono di aumentare la scala, diversificare flussi di entrate, migliorare efficienza dei costi e rappresentano “una risposta strategica al calo del reddito netto da interessi e alle limitate opportunità di crescita organica”.
Cinque delle 8 più grandi banche del Paese sono coinvolte attualmente in transazioni di M&A: Banco BPM su Anima, UniCredit su Banco BPM, Banca Ifis su illimity, Monte Paschi Siena su Mediobanca e BPER su Popolare Sondrio.
Il prossimo 28 aprile partirà l’Ops di UniCredit su BPM, arrivata intanto a sfiorare il 90% di Anima rinunciando ai benefici patrimoniali del danish compromise. Nel frattempo Credit Agricole ha ottenuto l’ok della Bce per aumentare al 19,9% la quota detenuto nell’istituto guidato dall’AD Giuseppe Castagna.
Andrea Orcel non si aspetta un grosso impatto dall’Antitrust e punta al 66,67% del capitale, con una “soglia minima” del 50% più 1 azione, ribadendo l’indipendenza dell’affare dall’investimento in Commerzbank e i benefici economici che vede nell’integrazione, ovvero “sinergie annuali per circa 1,2 miliardi di euro ante imposte a regime, grazie all’ottimizzazione delle attività e dei processi e alla razionalizzazione delle fabbriche prodotto“.
Sul dossier MPS-Mediobanca (oggi si è saputo che il governo non eserciterà la golden power) sono in corso gli schieramenti dei fondi, ma la strada appare in salita: Luigi Lovaglio tira dritto ma, con l’attuale calo dei tassi, per Alberto Nagel l’operazione è ancora più dannosa. Accidentato anche il percorso di Bper, che ha approfittato del recente crollo delle quotazioni di Borsa provocato dai dazi per rosicchiare uno 0,34% di partecipazioni in Pop Sondrio, per 13,7 milioni. Le due offerte, rispettivamente da 13,9 e 4,5 miliardi in dollari, hanno fatto salire gli accordi nel settore finanziario a 18,8 mld rappresentando il 79% di tutte le attività M&A target italiane del primo trimestre 2025.
L’operazione Ifis-illimity sembra quello meglio avviata, anche se il player guidato da Corrado Passera continua a varare nuove linee strategiche senza tenerne conto (e nell’attesa la specialty finance bank sta trattando pure l’acquisizione di Euclidea SIM). Qui la soglia minima irrinunciabile di adesioni è pari al 45% più un’azione: l’AD Frederik Geertman prevede che la fusione possa divenire efficace nel 2026 o, al più tardi, entro metà 2027, con sinergie stimate a regime in circa 75 milioni di euro.
Il nostro sistema è più frammentato di quelli in Francia o Spagna e quindi, tornando a Ficht, il che c’è spazio per il consolidamento: una maggiore scala consentirebbe agli attori di supportare meglio i grandi investimenti, compresi quelli legati alle ultime iniziative del settore difesa europeo, oltre che di mantenere elevata la qualità del credito.
Tuttavia, almeno per le offerte reputate indesiderate o ostili, l’agenzia individua rischi quali “disallineamenti culturali, integrazione IT legacy complessa e potenziale abbandono del personale o dei clienti”. Inoltre, “transazioni fallite o revisioni significative delle offerte potrebbero minare la credibilità degli offerenti: nessuna delle offerte attuali è stata concordata, lasciando incerti i risultati”.
Ma gli analisti non mancano di notare che la partita in gioco “potrebbe offrire anche alle banche regionali più piccole opportunità di espandere le loro posizioni di mercato” capitalizzando gli spazi lasciati aperti dalla ristrutturazione dei Big.
E’ quanto accaduto con Cassa di risparmio di Orvieto (MCC), soffiata da Banca del Fucino a Banco Desio, che ha quindi diretto lo sguardo a Popolare del Frusinate, in linea con la crescita esterna prevista dal Piano al 2026 ed escludendo – almeno per il momento – di poter essere a sua volta oggetto di acquisizione. Ed è quanto sta avvenendo ora in CR Asti dopo che la Fondazione, maggior azionista col 31,8%, ha dato mandato ad Equita di “svolgere le analisi preliminari sui possibili scenari” di valorizzazione del proprio 31,8%, per incrementare redditività del gruppo e quindi erogazioni al territorio. Anche Cherry Bank, tra gli altri, resta pronta a cogliere nuove occasioni.
Non tutti la pensano allo stesso modo. Ad esempio Bankitalia sostiene che i vantaggi derivanti da efficienza operativa, razionalizzazione della rete e sinergie di costo ottenute con la maggiore scala dimensionale, non sempre si trasmettono subito alla clientela, proprio per i vincoli e gli oneri dell’iter di integrazione, che spaziano dai piani di riduzione del rischio alle politiche di diversificazione delle fonti di raccolta o riallocazione del credito.
Le riorganizzazioni seguenti al deal – riporta la ricerca – possono provocare “nel breve-medio termine una temporanea riduzione del credito alle imprese” in particolare, rispetto ai consumatori, in media del 2% nei 3 anni successivi all’operazione, “con un conseguente razionamento selettivo del credito per clienti più piccoli e rischiosi” o di “specifici settori e aree geografiche”.
Analizzando le ultime 4 grandi aggregazioni nazionali (Banco Popolare-Popolare Milano, 2017; Intesa Sanpaolo-Ubi Banca, 2021, CA-Credito Valtellinese, 2022; Bper-Carige, 2022) emerge un calo dello stock complessivo di impieghi, rispetto a quelli totalizzati separatamente dai due player nell’esercizio precedente.
Il fenomeno – dovuto essenzialmente a fattori tecnici, collegati anche a fidi e plafond – resta comunque momentaneo e contenuto. Anche perché, oramai, pare siano rimasti soprattutto gli istituti di medie e piccole dimensioni a focalizzarsi sull’attività di finanziamento tradizionale.
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