SVB-Credit Suisse: un uno-due che in 3 giorni ha fatto vivere le montagne russe ai titoli bancari in Borsa, oggi tornati di nuovo rifiatare. I mercati fanno bene a preoccuparsi o i loro timori sono schizofrenici?
La verità, come spesso accade, sta nel mezzo: se era eccessivo l’ottimismo dei mercati nel pensare di poter attraversare indenni il repentino rialzo dei tassi di interesse dopo 15 anni di denaro a costo zero; così è altrettanto ingiustificato il panico scatenato sui listini prima dal crack della Silicon Valley Bank e poi dal buco di liquidità di Credit Suisse, avvenuto ugualmente “fuori l’Ue e l’Unione bancaria, che è la cooperazione più rafforzata che abbiamo” ricorda l’ABI. Il contesto svizzero, come quello americano, resta comunque “ben diverso il sistema bancario europeo – afferma anche il ministro delle imprese Adolfo Urso -, pensiamo che ovviamente il fenomeno non avrà ripercussioni significative in Italia“.
Bce e Tesoro Usa stanno verificando l’esposizione delle loro banche verso l’istituto elvetico, tuttavia la crisi di CS era nota da tempo (nei mesi scorsi si ventilava addirittura la vendita, ora una separazione delle attività e l’unione con Ubs) indipendentemente dallo stop ai finanziamenti annunciato da SNB, soddisfatta dalla ristrutturazione aziendale fin qui operata nonostante i deflussi di fondi e la debole rendicontazione. Delle differenze di business tra SVP e gli istituti italiani ed europei abbiamo invece già detto su PLTV: questi ultimi oggi sono molto più sani che all’epoca della crisi del 2008 grazie a maggiori capitali di qualità, meno Npl e vigilanza stringente.
Ora anche in Usa il Fed prepara una stretta su capitale e liquidità, con nuove norme per gli istituti con oltre 100 miliardi di asset e stress test più severi. In Svizzera per ora ci ha messo una pezza la locale Banca centrale, con un prestito fino a 50 miliardi di franchi. Un futuro allentamento della stretta monetaria da parte di Francoforte farà perdere agli istituti qualche utile, assottigliando il margine di interesse, ma ci guadagneranno appunto crediti e titoli governativi in portafoglio, dove il ribasso dei rendimenti è più accentuato sulle scadenze brevi.
In verità il pericolo per il sistema non viene dal settore bancario in sé bensì – per la vicenda Suisse – dalla sfiducia dei clienti nel risanamento del rosso in bilancio, mentre – per il caso SVB – dal crogiuolo di private equity, fintech, startup e criptovalute che ormai hanno raggiunto un giro d’affari globale da 225mila miliardi di dollari (contro i 180 delle banche vigilate) investendo e prestano denaro in forme “creative”, che eludono le regole valide fortunatamente per gli istituti. Due ammonimenti da trarre perché entrambi i pericoli possono generalizzarsi e bruciare i depositi di chiunque. Dunque la verità sta nel mezzo, dicevamo: niente paure irrazionali ma occhi aperti perché il rischio “contagio”, anche se minimo, comunque c’è.
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