21 Settembre 2023

Tassi e Prestiti: dopo le Banche, Stress-Test per Imprese

di Giuseppe Gaetano, editor in chief

Dopo le banche, lo “stress-test” lo stanno facendo anche le Pmi. E non è detto che lo superino tutte: anche se il decimo rialzo del consecutivo del costo del denaro di altri 25 punti base da parte della Bce fosse l’ultimo, la “rosea” prospettiva di mantenerlo comunque su livelli elevati un bel po’ prima di un taglio, non è proprio il massimo per le piccole e medie imprese italiane.

I costi sempre più alti gravano sulla domanda di credito di micro e Pmi – specie se già alle prese con le vecchie rate maggiorate – ma, necessariamente, anche sulla disponibilità degli istituti a concederlo. Prima dell’ultimo bollettino della Banca d’Italia, già Unimpresa aveva già certificato il rischio credit crunch: secondo i calcoli del centro studi a maggio i prestiti al settore privato erano calati di 12 miliardi di euro, a 1.701 mld, e 7 riguardavano finanziamenti alle aziende. Queste, per quanto riescano a pescare nei propri accantonamenti, sono molto più in crisi di liquidità delle famiglie: per loro i tassi sono quasi triplicati dall’1,79% di luglio 2022 – quand’è partita la serie di rialzi di Francoforte – al 4,82% di luglio 2023; contemporaneamente per i consumatori l’aumento è stato decisamente più contenuto, dal 2,71 al 4,06%. Nel weekend è seguito il bollettino ABI che, aggiornato a agosto, ha fotografato con percentuali diverse il medesimo trend: il mese scorso il tasso medio sul totale dei prestiti a famiglie e imprese è salito al 4,48 dal 4,42% di luglio; mentre i finanziamenti sono scesi di un ulteriore 3,3% annuo (-2,2% a luglio), in particolare per le imprese (-4%). In questo report, però, è il tasso medio praticato alle imprese a limarsi – dal 5,095 al 5,03% – anziché quello sui mutui immobiliari rilevato da via Nazionale.

Crescono anche le sofferenze nette: 16,5 miliardi di euro a luglio, +2,2 mld da dicembre 2022; nello stesso periodo il rapporto con gli impieghi è passato da 0,81 a 0,97%. L’irrigidimento dei finanziamenti provoca pagamenti in ritardo, liquidazioni e fallimenti. Questi ultimi – per la prima volta da due anni a questa parte – tornano sia pur leggermente a risalire, specie nell’industria manifatturiera: +1,5% annuo la media Cerved del primo semestre, che evidenzia le difficoltà maggiori tra le ditte individuali e in quelle con fatturato tra 2 e 10 milioni, sebbene l’avvitata al rubinetto del credito non riguardi ogni settore e area geografica del Paese. Il presidente di Confartigianato, Marco Granelli, propone al Sole24Ore quattro possibili soluzioni: “Un soggetto pubblico con un ruolo di finanziatore sussidiario per piccole imprese e piccoli importi; una regolamentazione chiara sui termini di pagamento, che non trasformi i piccoli nei finanziatori delle filiere; una riforma della giustizia civile, che dia certezza sul contenzioso relativo ai tempi di pagamento; una riforma del Fondo centrale di garanzia, che torni a tutelare i piccoli. Purtroppo i progetti di cui sentiamo parlare non vanno ancora in questa direzione“.

L’impennata degli interessi accentua certamente lo slancio delle iniziative che favoriscono l’accesso a fonti finanziarie alternative, sia tra Bcc e confidi vicini al territorio che tra fintech digitali e startup alternative, ma nessuno ha il cilindro magico. “Noi continuiamo a ribadire che i finanziamenti devono essere sostenibili – ha detto il presidente di Cassa Centrale Banca, Giorgio Fracalossi, alla recente Fiera del Levante -. Non sostenibili nel breve quando si fa la domanda, bensì sostenibili nel medio lungo periodo, perché per noi valgono gli investimenti che producono ricchezza, reddito e valore“. A tal proposito, da notare il buon riscontro ottenuto in neanche due mesi dal neo Fondo 394 gestito da Simest (gruppo Cdp), che sostiene gli investimenti per la crescita estera delle aziende: 6mila domande – l’80% delle quali da Pmi – per 2,8 mld di prestiti, di cui il 70% destinato a transizione digitale e rafforzamento patrimoniale. E le banche? Anche loro, per certi versi, sono sulla stessa barca.

Capitolo profitti, già nel 2022 circa metà degli oltre 88 mld di “fatturato” erano costituiti da margini d’interesse sui prestiti: questi, governo permettendo, continueranno a crescere nelle prossime semestrali e la forbice attivi/passivi proseguirà a incrementare gli utili nei bilanci. Di converso, però, adesso è più costoso finanziarsi e sono necessari solidi patrimoni e adeguati accantonamenti vista la lenta crescita degli NPL. Restituzione dei Tlro in scadenza e altre misure, come il paventato aumento delle riserve obbligatorie, potrebbero insidiare la liquidità. Inoltre lo spread tra tassi sulle nuove erogazioni a famiglie e imprese e rendimento della raccolta bancaria, sottolinea ABI, si è ridotto ad agosto a 157 pb dai 166 di luglio. L’inasprimento delle condizioni di credito si ripercuoterà infine sui consumi, abbassando le stime di crescita del Pil e innescando un circolo vizioso per tutta l’economia italiana. Il momento no dei mutui casa, ad esempio, finisce per riflettersi sulle aziende dell’immobiliare e anche dell’edilizia: complici decadenza e complessità dei vari bonus, l’Istat rileva che gli investimenti in abitazioni sono diminuiti a giugno del 3,4% a livello trimestrale. Meno prestiti significa meno margini, e nessun istituto ha mai prosperato in un contesto produttivo stagnante.

Credito alle Imprese? Sempre più “Garantito”. Lo Spalma-Prestito e altri Paradossi

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