di Giuseppe Gaetano, editor in chief
L’ultima stretta monetaria della Bce non sta portando grandi novità sul business del credito rivelandosi poco efficace contro un’inflazione da costi, in un’economia che rallenta e si dirige verso la recessione, in cui l’offerta è maggiore della domanda e i salari sono inadeguati ai profitti.
La situazione continua a vedere Taeg dei mutui in aumento più che negli altri finanziamenti e moderazione nei prestiti, finalizzati per lo più alla liquidità per spese correnti e saldo di altri debiti: due voci salite rispettivamente al 30,4% e al 16% del totale delle richieste del primo semestre 2023, secondo PrestitiOnline. Se la contrazione dell’importo medio erogato a circa 10mila euro è dovuta alla prudenza sia delle banche che dei clienti, le finalità dei finanziamenti restano appannaggio dei secondi, seguendo trend eterogenei e diversificati in base anche al target anagrafico. Chiaro che i mutui immobiliari, movimentando cifre e durate enormemente superiori, risentano dell’attuale congiuntura economico-finanziaria più d’ogni altra tipologia di prestito alle famiglie: nel primo semestre 2023 Bankitalia ha registrato una flessione annua del volume di erogazioni del 29,3% per l’acquisto della casa ma, contemporaneamente, una crescita del 3,1% per il credito al consumo. Nel complesso, infatti, il mercato volge ancora in positivo.
Giusto ieri CRIF ha rilevato un aumento del +11,% dei finanziamenti in corso, grazie anche dello sviluppo dei prestiti small ticket: il 51,4% dei maggiorenni ha un contratto di credito rateale attivo (dal 61,7% della Val d’Aosta al 29,8 del Trentino) e oltre metà di questi è costituito da prestiti finalizzati (51,3%) – rivolti prevalentemente all’acquisto di beni quali auto, moto, elettronica, arredamento e viaggi -, una soluzione che piace in particolare agli under30; seguiti da prestiti personali (stabili al 29,4%) e in coda i mutui (in calo a 19,3%). A livello pro-capite crescono l’ammontare medio delle rate pagate per prestiti e mutui (322 euro mensili, +5,6%) e l’esposizione residua (34.875 euro, +9,3%), entrambe più alte al Nord che al Sud; percentuali che, in dettaglio, per i mutui salgono rispettivamente a +13,5 e +10,8%. Altri numeri del report di Mister Credit: gli uomini (58,5%) ricorrono al prestito più delle donne; 3 su 4 sono nella fascia d’età dai 41 ai 50 anni; più s’invecchia meno ci s’indebita.
Qualità e sostenibilità dell’erogato sono garantite da chi, cittadino o impresa, è ricorso ai risparmi depositati per estinguere quote residue o anticipare in proprio somme che, allo stato, sarebbe stato troppo oneroso e incerto restituire. Pur convenendo economicamente rispetto ai canoni di affitto, cresciuti molto più dei prezzi delle case anche per la riduzione dello stock in locazione, il mercato dei mutui ipotecari resta al palo proprio per la sfiducia e l’incertezza che attanaglia gli italiani sulle loro prospettive reddituali e patrimoniali future, di fronte a importi elevati e debiti lunghi 30-40 anni. È un fatto che negli ultimi 2 anni i mutui tricolore siano diventati i più cari dell’intera Eurozona e che il balzo dei tassi di interesse abbia aumentato il montante anche per buona parte di quelli in regola con i pagamenti, mentre per i più recenti l’indebitamento è cresciuto attorno al 24%. Tra variabile e fisso la differenza continua a oscillare, in base a durata dell’Eurirs e tipologia di Euribor, a favore di quest’ultimo.
Il mercato si aspetta che salga lievemente sino fino a anno, per iniziare quindi a scendere seguito a distanza dal costo del denaro. In questo contesto stanno acquistando rilevanza, come fringe benefit aziendali, i prestiti concessi dal datore di lavoro ai dipendenti, beneficiando di una base imponibile ridotta al 50%. È una fase di stallo, più che di regressione: c’è chi con lo stesso stipendio si è ritrovato in una classe di merito inferiore a causa dell’inflazione; chi attende ancora di capire se i tassi siano vicini al picco prima di scegliere tra fisso e variabile; chi aspetta che i prezzi delle abitazioni scendano. Fin quando le risorse accumulate negli anni precedenti consentiranno, ai consumatori come alle aziende, di mitigare i maggiori oneri? Si stima, inoltre, che i 427 miliardi di stock di mutui totalizzato a fine 2022 – di cui 158 (37%) a tasso variabile – costeranno 6 mld in più in un anno. Oltreoceano spirano venti contrari: ad agosto negli Usa i tassi sono saliti al 7,23%, ai massimi dal 2001; mentre le richieste sono scese ai minimi da 28.
Venendo alla tassa sugli extra profitti questa costringerà le banche a rincarare, probabilmente già in autunno, di un ulteriore +0,5% i rialzi di Francoforte – che a sua volta potrebbe incrementarli di un ulteriore 0,25% nel prossimo vertice di giovedì 14 settembre – ma difficilmente contribuirà da sola a stringere i rubinetti del credito per ridurre l’impatto dell’imposta o puntare su prodotti, come fondi e polizze, che per ora ne sono esclusi. Certo prima o poi i tassi sulla raccolta, sia pur di poco, dovranno risalire riducendo lo spread attivi-passivi che finora ha gonfiato i margini d’interesse e dunque la redditività. Ad essere tassati, infatti, non sono solo i ricavi della differenza tra costo della raccolta e interesse sul credito ma anche i proventi legati ai rendimenti dei bond e dunque dei titoli di Stato, e sono numerose le criticità spalancate dal governo con il provvedimento, che non piace alla Bce e che – anche senza le attenuanti già allo studio, come deduzione fiscale ed esenzione per le piccole banche non soggette a vigilanza europea – produrrà comunque appena 1,9 miliardi di gettito.