di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Come ampiamente atteso la BCE ha aumentato ieri il costo del denaro per la nona volta consecutiva nel giro esatto di un anno, ufficializzando così il rialzo del tasso di riferimento sulle operazioni di finanziamento al 4,25% e quello sui depositi della liquidità al 3,75%, il massimo storico.
“Sono sicura che le persone quando fanno shopping si accorgono che i rincari non sono quelli di 6-7 mesi fa. Ma è abbastanza? Non troppo” ha detto in conferenza stampa la presidente Christine Lagarde: “Di sicuro non taglieremo”, al massimo si farà una breve pausa prima di riprendere le avvitate al costo del denaro. L’inflazione cala troppo lentamente e lo stesso Consiglio direttivo sa bene che “rimarrà al di sopra del 2% per un lungo periodo“. A remare contro ci sono pure “le pressioni interne sui prezzi, dovute anche ad aumento dei salari e robusti margini di profitto“. Francoforte ha previsto un restringimento del credito per il 27% delle banche europee eppure – nonostante gli allarmismi – il credito nell’Eurozona, seppur di poco, nel complesso cresce ancora del 3% annuo: dunque aumento dello spread, irrigidimento dei criteri di bancabilità e rallentamento della domanda non si stanno dimostrando utili ad abbatterla. Certo la strategia della navigazione a vista, decidendo “di volta in volta” qual è il male minore per il sistema finanziario e mercato creditizio, non è proprio rassicurante per gli operatori impedendo di ragionare su prospettive di medio/lungo periodo. Il presidente dell’ABI Antonio Patuelli annuncia “conseguenze” anche per la decisione di “azzerare la remunerazione per le banche della riserva obbligatoria, che prima era del 3,5%“: una scelta che creerà concorrenza sulla raccolta e che gli istituti pagheranno cara, come quella “dell’autunno scorso di rendere significativamente costosa la residua liquidità concessa attraverso i Tltro“.
Già da settimane si rincorrono sui media i ricalcoli degli interessi, cercando di capire come reagirà l’Euribor al nuovo balzello, sulle tante forme di prestito a famiglie e imprese e le possibili soluzioni per evitare un credit crunch che, allo stato, resta un rischio ipotetico soltanto per le piccole aziende. Secondo Studio Temporary Manager le imprese italiane nel 2024 pagheranno in tutto 50 miliardi di interesse, quasi 30 miliardi in più rispetto al 2022 e le regioni più penalizzate sono quelle col numero più alto tasso di industrie: Lombardia, Lazio, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte. Per quanto riguarda invece i mutui immobiliari, va detto che il calcolo del rincaro della quota interessi non stima mai con esattezza i reali aumenti rateali, definibili solo caso per caso dipendendo dal piano di ammortamento del capitale. Inoltre non sono solo i prestiti ma soprattutto il costo dei beni prima necessità, esplosi con la guerra in Ucraina, a pesare sulle tasche dei consumatori bruciandone il potere d’acquisto: a complicare lo scenario, secondo l’Osservatorio nazionale sul debito bancario e finanziario, l’arrivo di centinaia di migliaia di cartelle esattoriali; per cui bisognerebbe rendere meno onerose le procedure per il sovraindebitamento e semplificare l’uscita dalle liste dei cattivi pagatori, prevedendo l’impegno di (altre) risorse pubbliche da destinare a chi – volente o nolente – alla fine ci ha messo del suo per prosciugarle.
Il presidente Francesco Cacciola ha sostenuto di recente che “un milione di famiglie non riesce più a pagare le rate dei mutui per un ammontare complessivo di circa 7miliardi di euro (per Confcooperative 700mila, una su 5, ha già saltato almeno una rata). Per le imprese molti finanziamenti legati all’Euribor sono schizzati alle stelle causando carenza di liquidità, molti business plan sono al palo per mancanza di cash flow, paralizzando digitalizzazione e conversione ecologica. Cosa possono fare istituzioni, imprese e banche per non lasciare Francoforte da sola davanti a una battaglia che può costare cara? Come rendere il debito sostenibile evitando procedure esecutive? Sospendendole e ripristinando gli aiuti come durante la pandemia? “Dobbiamo aiutare gli italiani a onorare i loro impegni – afferma Cacciola -, le procedure esistono ma vanno rese più accessibili per chi è in difficoltà“. Il prossimo appuntamento con il board BCE è per il 14 settembre e anche in quell’occasione saranno analizzati altri dati, oltre a quelli della dinamica dell’inflazione di fondo e complessiva (che usciranno lunedì), cui spetterà “l’onere della prova” di come e quanto stia incidendo la stretta monetaria sull’attuale congiuntura economica: andamento dell’occupazione, condizioni del credito a famiglie e imprese, rischi geopolitici, maggior costo del debito pubblico, perdita di valore delle vecchie obbligazioni, svalutazione sul dollaro. Probabile però che, prima di un po’ di stabilità, ci siano altri mini aggiustamenti in questo 2023, magari nell’ordine di 20 pb: correzioni che, inevitabilmente, posticiperanno per il business dei prestiti l’inversione di marcia attesa dagli analisti nel primo trimestre 2024.
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