estratto da intervento di Luigi Federico Signorini, direttore generale della Banca d’Italia e presidente dell’IVASS alla XVII convention AIFIRM
Come si sa, l’Italia presenta un rischio ambientale elevato. Le caratteristiche del territorio la rendono soggetta a frane e inondazioni, fenomeni destinati probabilmente a intensificarsi e comunque a divenire sempre meno prevedibili in seguito ai cambiamenti climatici.
Anche il rischio sismico è elevato; benché non legato al clima, esso presenta caratteristiche simili ai rischi climatici, perché si manifesta con eventi relativamente rari ma (a volte) estremamente dannosi, con una forte concentrazione nel tempo e nello spazio.
Va da sé che la prima difesa contro le catastrofi naturali consiste nella prevenzione degli eventi e nel contenimento ex-ante dei relativi impatti: in particolare una gestione accorta del territorio, un’efficace normativa antisismica, e simili azioni. Ma i rischi catastrofali non potranno mai essere completamente eliminati. È quindi necessario che la società sia preparata a gestire ex-post le crisi quando esse nonostante tutto avvengono, mitigandone le conseguenze umane ed economiche.
In caso di calamità naturali, in Italia si tende a contare molto sull’intervento pubblico a posteriori, con lo stanziamento di fondi per fare fronte alle azioni di volta in volta necessarie. Il vantaggio dei provvedimenti a carico della fiscalità generale è che essi attuano – nella misura e nella forma di volta in volta decisa dal legislatore – un principio di solidarietà, ponendo a carico di tutti i contribuenti il ristoro dei danni accaduti in un territorio circoscritto.
Lo svantaggio è che l’intervento pubblico, per sua natura, è incerto nel se, nel quanto, nel quando, nel come. Difficilmente riesce a essere ritagliato sulle specifiche caratteristiche di ogni danno, sulla perdita sofferta da ciascun individuo, impresa, famiglia. A volte è caratterizzato da ritardi e inefficienze di tipo attuativo. Infine, il carico sulla fiscalità complessiva grava sui contribuenti in misura indipendente non solo dall’esposizione “naturale” al rischio (questo è insito nel concetto di solidarietà, almeno se portata alle estreme conseguenze), ma anche dai comportamenti individuali di prevenzione (e questo è causa di inefficienza via moral hazard).
L’assicurazione privata è caratterizzata da una maggiore prevedibilità e granularità della protezione offerta e realizza una più diretta corrispondenza tra il premio pagato, il rimborso offerto e i danni subiti dall’assicurato. Essa può coprire danni che sono catastrofici per i singoli o per piccole comunità ma non per la collettività nazionale (per esempio un’inondazione locale), che probabilmente sfuggirebbero a un ristoro pubblico. Inoltre, essa può essere meglio calibrata, commisurando il premio pagato all’effettiva rischiosità del singolo immobile e alle azioni attuate dall’assicurato per ridurla.
D’altro canto, per natura la copertura privata mal si presta a una redistribuzione del rischio di natura solidaristica. Ad esempio, essa pone a carico di chi vive in una zona sismica un costo elevato. Se si desidera redistribuire questo costo, o per motivi di solidarietà a livello nazionale, o magari anche per evitare, in un’ottica di sviluppo territoriale, una spinta eccessiva allo spopolamento delle zone più a rischio, occorre predisporre qualche forma di intervento pubblico. Inoltre, la distribuzione statistica propria degli eventi catastrofali, in particolare l’estrema concentrazione potenziale del danno, rende problematica una copertura puramente privata.
È quindi consigliabile perseguire un assetto che preveda una combinazione dell’assicurazione privata e dell’intervento pubblico (sotto forma di regole, obblighi, incentivi, partecipazione al rischio), in modo da combinare, nella misura ritenuta ottimale, solidarietà ed efficienza.
Le soluzioni sperimentate in paesi con caratteristiche di rischio confrontabili con il nostro sono diverse: vanno dall’obbligatorietà della copertura a forme semi-obbligatorie, comprendendo anche forme di riassicurazione dei rischi catastrofali garantite dallo Stato, che consentono al cittadino la libertà di scelta se assicurarsi o meno.
Nella loro diversità, questi sistemi hanno in comune la cooperazione tra l’attore pubblico, nel ruolo di regolatore e controllore del mercato, e il settore assicurativo privato. Essi si sono accompagnati a una diffusione dell’assicurazione contro le calamità naturali decisamente superiore a quella italiana.
La carenza di protezione assicurativa nei confronti di eventi catastrofali sembra dovuta anche ad alcuni fattori strutturali.
Da un’indagine condotta l’anno scorso dall’Ivass è emerso che lo sviluppo della copertura dai rischi ambientali, anche se rientra nei piani della maggior parte delle compagnie, è ostacolato tra l’altro dalla carenza di dati e dalle difficoltà nella stima della frequenza e severità degli eventi, dovute anche alla velocità del cambiamento climatico.
Una recente indagine realizzata da ISMEA mostra che tra i fattori che limitano l’assicurazione nel settore agricolo , uno dei più colpiti dal cambiamento climatico, vi sono la mancanza di una cultura delle imprese orientata alla gestione dei rischi, la concentrazione degli stessi su specifici prodotti e territori, la complessità delle polizze offerte.