Le difficoltà delle imprese italiane, soprattutto quelle piccole e medie, pesano sul leasing, che in Italia, negli anni di Industria 4.0, è stata una leva fondamentale per gli investimenti.
Il leasing (che rappresenta il 15% dei finanziamenti bancari complessivi e il 40% di quelli a lungo termine) è stato infatti lo strumento finanziario di gran lunga più utilizzato dalle aziende per accedere agli incentivi. A novembre scorso, Assilea (l’associazione che rappresenta le società del settore) ha registrato oltre il 70% di prenotazioni alla Nuova Sabatini e la Tecno Sabatini 4.0, finalizzate all’acquisto di beni strumentali. Al leasing fanno ricorso soprattutto le imprese piccole e medie, la spina dorsale dell’imprenditoria italiana, che rappresenta il 92% delle aziende del nostro Paese e dà lavoro all’82% dei dipendenti. Oltre il 67% del valore e il 53,7% del numero di contratti leasing del 2019 è composto da finanziamenti verso le Pmi.
Oggi le difficoltà delle imprese rischiano di mettere in crisi proprio le società di leasing che erano state il loro principale motore finanziario. E la seconda proroga, fino a giugno, della moratoria Covid concessa lo scorso marzo ai clienti in difficoltà economica a causa della pandemia, che il Parlamento si appresta ad approvare con la nuova legge di Bilancio, potrebbe far precipitare la situazione. Secondo le rilevazioni di Assilea, a luglio di quest’anno erano state concesse 189mila moratorie, ovvero il 25% (per numero) del portafoglio leasing e il 43% in volumi, per un controvalore di 22,6 miliardi di euro, su un portafoglio complessivo degli impieghi leasing che, a fine 2019, aveva raggiunto gli 80 miliardi di euro, con una netta prevalenza del comparto immobiliare per valore (56,5%) seguito dai beni strumentali (20,7%) e dalle auto (16,5%).
«Si arriverà a un totale di 16 mesi di moratoria durante i quali i piani di ammortamento delle imprese in difficoltà sono sospese ¬e questo è per noi una fonte di grande preoccupazione», spiega Luigi Macchiola, presidente di Assilea, che nelle scorse settimane ha proposto di introdurre nella legge di Bilancio un emendamento per portare dal 33% al 66% la garanzia accessoria accordata dalla legge sull’importo delle rate morate. Ma questa proposta non ha trovato paternità politica ed è rimasta esclusa dagli emendamenti.
«Non ci opponiamo alla moratoria ovviamente – spiega Macchiola – perché siamo consapevoli del momento difficile che molti nostri clienti stanno attraversando, ma la legge dice che questa misura si basa su una non incidenza per entrambe le parti e invece sulle società di leasing rischia di avere effetti devastanti». L’Eba, l’autorità bancaria europea che ha il compito di mantenere la stabilità finanziaria degli istituti creditizi, infatti, non terrà conto della nuova moratoria e ha stabilito che, da gennaio, le società di leasing dovranno aumentare gli accantonamenti, appesantendo i bilanci. Con danno ulteriore per le realtà che hanno una fonte di funding concentrata sulle cartolarizzazioni.
Al termine della moratoria, inoltre, molte aziende clienti non saranno nelle condizioni di proseguire la propria attività, o comunque di pagare le rate del leasing. Secondo uno studio del Cerved, le imprese che potrebbero non disporre della liquidità necessaria sono 16.872 in uno scenario «hard» (che, vista la seconda ondata della pandemia, risulta ormai il più probabile), ovvero il 28,1% delle 60mila società di capitale analizzate, e 12mila in uno scenario soft (il 19,9%). Come conseguenza, le società di leasing avrebbero molte restituzioni dei beni, il che creerebbe seri problemi di gestione. «Per legge – spiega Macchiola – non possiamo tenere i beni sottostanti il leasing, in caso di mancato riscatto finale da parte del cliente, perché anche se ne siamo i proprietari, operiamo solo come intermediari finanziari tra le società produttrici e gli utilizzatori». In genere il problema non si pone, salvo in rarissimi casi, perché al termine del leasing i clienti quasi sempre riscattano il bene. In caso contrario, le società di leasing rivendono il bene ai propri fornitori, che si occupano di ricondizionarlo e aggiornarlo per poi reimmetterlo sul mercato della second Life che, ad esempio per quanto riguarda i beni strumentali o le auto, è molto florido e attivo.
In questo caso, però, la preoccupazione delle società di leasing è che i produttori possano rifiutare la restituzione dei beni che, nel frattempo, avranno 16 mesi di vita in più e avranno perso valore rispetto alle condizioni contrattuali iniziali: «Sedici mesi – spiega Macchiola – è un periodo molto lungo per beni come le auto o i macchinari ad alto valore tecnologico, che sono poi la parte più numerosa dei nostri leasing».
Conferma le preoccupazioni Gianluca De Candia, responsabile commerciale leasing per Banca Ifis, che ha fine ottobre aveva accettato il 97% delle richieste di moratoria pervenute, per un circa di 17mila contratti. «Il provvedimento introdotto è stato molto largamente utilizzato e approvato da noi – spiega De Candia -¬. Inoltre, sebbene la legge dica che la moratoria deve essere concessa senza oneri per clienti e contraenti, in realtà le società di leasing si fanno carico di diversi oneri. C’è il tema del deterioramento dei beni, che allo scadere dei contratti avranno perso valore e probabilmente i clienti vorranno restituirli o chiederanno un ulteriore sconto sul riscatto. Poi c’è il tema degli accantonamenti». Stimando una percentuale di default tra il 5 e il 10%, a copertura dei settori potenzialmente più impattati dalla pandemia, nel terzo trimestre dell’anno Banca Ifis ha fatto accantonamenti prudenziali per circa 11 milioni di euro sulla stima di potenziali effetti negativi attesi e connessi, principalmente, alle moratorie.
«Le società di leasing nascono come società finanziarie: il nostro lavoro non è gestire beni non riscattati: non siamo dei rivenditori – osserva Stefano Esposito, direttore generale Sarda Leasing di Biper Banca che, su quasi 10mila clienti, ha concesso 3.800 proroghe, pari al 40% dei contratti e al 45% dei valori –. Il timore invece è che dovremo farlo, in parte perché alcuni clienti che hanno chiesto la moratoria sono a rischio default, nel nostro caso per fortuna una quota davvero residuale. In parte perché, tra quelli che supereranno la crisi, molti non vorranno riscattare un bene che ha quasi due anni in più rispetto alla durata prevista dal contratto iniziale».
Bnp Paribas Leasing Solutions ha portato a termine 31mila moratorie governative e oltre 7mila volontarie (concesse a clienti esclusi dai criteri del decreto Cura Italia). «L’impatto sull’organizzazione è stato molto forte – osserva il vicedirettore generale, Stefano Schiavi –. All’inizio ci siamo trovati a gestire, da remoto, dalle 3mila alle 6mila domande al giorno. Abbiamo creato una task force di circa 60 persone che ha gestito questa ondata. Rilevo inoltre il mancato rispetto del principio stabilito dal decreto Cura Italia circa la neutralità dell’operazione di moratoria in materia di costi sia per il cliente che per le società di leasing. Queste ultime hanno sostenuto costi elevati per gestirla e, alla fine, rischiamo di dover sopportare anche un’ondata di inadempienze».